Le avventure in musica di Sounds & Grooves proseguono nella 17° Stagione di RadioRock.TO The Original
Nel quindicesimo episodio stagionale di Sounds & Grooves troverete il tributo ad un artista enorme come Mark Stewart, alcune novità e molte meraviglie assortite
Torna l’appuntamento quindicinale di Sounds & Grooves che per il 17° anno consecutivo impreziosisce (mi piace pensarlo) lo straordinario palinsesto di www.radiorock.to. A pensarci è incredibile che sia passato già così tanto tempo da quando abbiamo iniziato questa folle ma fantastica avventura. Come (credo) già sapete, la nostra podradio è nata per dare un segnale di continuità con il passato, con quella meraviglia che Franz Andreani, Marco Artico, Flavia Cardinali, Massimo Di Roma, Michele Luches, Aldo Semenuk, Giampiero Crisanti, Gianpaolo Castaldo avevano creato e a cui, nel mio piccolo, ho provato a dare un contributo dal 1991 al 2000. Sappiamo tutti benissimo che la Radio Rock in FM come la intendevamo noi è sparita da almeno due decenni, ma in tutti questi anni di podcast sul web abbiamo cercato di tenere accesa quella fiammella per poi tentare di moltiplicarla, facendola diventare un faro di emozioni e qualità musicale. Perché la passione e la voglia di fare radio, la voglia di ascoltare e di condividere la musica di qualità, nonostante tutto, non ci è mai passata. Questa creatura dopo più di 3 lustri continua orgogliosamente a remare controcorrente, cercando quella libertà in musica che nell’etere è ormai diventata una mosca bianca, ed esprimendo con forza la passione per la condivisione, per la ricerca, per l’approfondimento. Non dobbiamo aderire ad una cieca linea editoriale che ormai spinge esclusivamente il pulsante play dei servizi di streaming, ma ci lasciamo guidare semplicemente dal nostro cuore e dalla nostra passione. Fulvio Savagnone, Marco Artico, Giampiero Crisanti, Franz Andreani, Flavia Cardinali, Francesco Cauli, Ivan Di Maro, Massimo Santori aka Moonchild, Maurizio Nagni ed io proviamo ogni giorno a coinvolgervi con i nostri podcast regolari e con le rubriche tematiche di approfondimento, sperando di farvi sentire sempre di più parte di questa fantastica avventura.
Il quindicesimo viaggio partirà con il tributo ad un vero gigante come Mark Stewart con i suoi The Pop Group, proseguirà con il trasformismo eclettico dei Rip Rig & Panic ed il punk al femminile degli indimenticabili X-Ray Spex. Si proseguirà con la riscoperta dall’oblio del proto-punk dei Death, con lo straordinario garage-folk dei Violent Femmes ed il rock psichedelico dei fratelloni Pontiak e dei Dommengang. Parleremo di Neil Michael Hagerty sperando in tempi migliori per lui e riassaporeremo lo shoegaze dei britannici Catherine Wheel. Andremo in quella splendida finestra tra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80 con il power rock dei The Only Ones e il ricordo di un immenso Adrian Borland e dei suoi sottovalutatissimi The Sound. Il finale sarà appannaggio della suggestione della voce del compianto Shawn Smith e dei suoi Brad, il ritorno dopo sei anni di silenzio dei londinesi Daughter, e del cantautorato dolente e straordinario di Vic Chesnutt. Il tutto, come da ben 16 anni a questa parte, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
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Iniziamo il podcast ancora un po’ intontiti dalla notizia che un vero gigante, fisicamente e musicalmente, come Mark Stewart non è più tra noi. Lui è stato il perno fondamentale di uno dei gruppi più originali, innovativi ed influenti della storia del rock. I The Pop Group nascono in piena era punk, e ne assorbono lo spirito di assalto, rivestendolo a nuovo con tessiture dub, funk, jazz. Il loro nome già tradiva il loro sarcasmo innato. Altro che pop, Mark Stewart e compagni hanno sempre avuto un approccio sociale e politico chiaro e preciso. La musica e le liriche erano intrise di protesta contro la società. Funk, rock, free jazz, dub. Gareth Sager (chitarra, sassofono e pianoforte), John Waddington (chitarra), Bruce Smith (batteria) e Simon Underwood (basso) erano quasi ossessionati nel cercare di creare suoni nuovi e battere strade ancora inesplorate.
Il primitivismo violento della band viene immortalato già nell’iconica copertina del loro storico album di esordio, che mostra un gruppo di aborigeni infangati con maschere e lance. Y esce nel 1979 ed è una successione di ritmi tribali, singulti, variazioni di ritmo, una tensione che non viene mai meno, come dimostra la stratosferica “We Are Time” condotta ad arte da un Mark Stewart in forma smagliante. Un disco che traghetta il post punk in una dimensione “altra” e che con il suo fuoco musicale, politico e sociale è riuscito a creare un suono che, a distanza di 40 anni, è ancora incredibilmente attuale.
Come detto The Pop Group è stata una delle band più spericolate e affascinanti del periodo a cavallo tra i ’70 e gli ’80. La formazione originaria del gruppo di Bristol si è sciolta nel 1981 salvo poi riunirsi nel 2010 con tre dei cinque membri originali: Mark Stewart, Gareth Sager e Bruce Smith. Dopo il primo scioglimento, alcuni dei componenti della band sono confluiti in un altro combo spettacolare: i Rip Rig & Panic. Gareth Sager (chitarra, sax, tastiere, voce) e Bruce Smith (batteria, percussioni) dopo quell’esperienza con Mark Stewart hanno accolto Sean Oliver (basso), Mark Springer (pianoforte, sax, voce) e una giovanissima Neneh Cherry, all’epoca moglie di Smith, per creare una incredibile ed esplosiva miscela di post-punk, free jazz, afro beat, funk.
Tra brevi bozzetti strumentali e brani più pirotecnici la band ha pubblicato tre album in successione, uno più travolgente dell’altro. Probabilmente l’apice è stato raggiunto con l’esordio intitolato God. L’album, al quale ha collaborato anche Viv Albertine delle coeve The Slits, si apre con “Constant Drudgery Is Harmful To Soul, Spirit & Health”, un grande brano condotto dalla straordinaria voce proprio di Neneh Cherry. Soul non nell’accezione classica del termine ma trascinante come solo loro sanno essere. Un gruppo da riscoprire senza alcun dubbio proveniente da un periodo tra i più creativi della storia della musica.
Andiamo avanti con il podcast parlando di un’altra band seminale nata in Inghilterra nel 1976, in piena era punk. Gli X-Ray Spex erano composti da Poly Styrene (Marion Joan Elliott-Said) alla voce, Jack Airport (Jack Stafford) alle chitarre, Paul Dean al basso, Paul Hurding alla batteria e Lora Logic (Susan Whitby) al sassofono. Proprio il sassofono abrasivo della Logic era decisamente inusuale per un gruppo punk e contribuì non poco a caratterizzare la band oltre alla voce potente ed allucinata di Poly Stirene. Nel loro unico album in studio, Germfree Adolescents, uscito per la major EMI nel 1978, la Logic suona solo in due brani, mentre il sax è appannaggio del sostituto Rudi Thomson. Curiosamente nonostante il grande consenso critico, l’album non fu pubblicato negli Stati Uniti fino al 1992.
Il loro suono è uno dei più particolari e maturi del punk inglese, con le invettive anti-consumistiche e anti-capitalistiche di Poly Stirene a fare da perfetto compendio alla loro carica viscerale. La band purtroppo si sciolse quasi subito, riformandosi a sorpresa nel 1995 registrando un secondo album, Conscious Consumer. Qualche tempo dopo si sciolsero definitivamente. Poly Styrene è morta il 25 aprile del 2011. Se volete ripercorrere la storia di una delle band più interessanti e vitali del punk britannico, cercate e trovate The Anthology, due CD che coprono tutta la storia della band. “Art-I-Ficial” è il brano che apriva come meglio non si potrebbe il loro devastante album di esordio.
Non fatevi ingannare dalla data di pubblicazione del disco. I Death sono un gruppo formato a Detroit, Michigan, nel 1971 dai fratelli Bobby (basso, voce), David (chitarra) e Dannis Hackney (batteria, percussioni). Il trio iniziò inizialmente come gruppo funk e r’n’b, ma passò presto ad un suono più duro, soprattutto spinti dalla chitarra di David che in qualche modo anticipa non solo il punk ma anche gruppi provenienti dalla stessa città come Stooges o MC5. Inizialmente il trio si era dato il nome di Rock Fire Funk Express, proprio David convinse i fratelli nel 1974 a cambiare il nome della band in Death, dopo la morte del padre in un incidente. In realtà in questo modo il chitarrista voleva in qualche modo trasformare la morte da negativa a positiva. Nel 1975, i Death registrarono sette canzoni scritte da David e Bobby presso gli United Sound Studios di Detroit con il tecnico Jim Vitt.
Sembra che all’epoca il presidente della Columbia Records Clive Davis finanziò le sessioni di registrazione, ma implorò la band di cambiare il proprio nome in qualcosa di più appetibile dal punto di vista commerciale. Quando gli Hackney si rifiutarono, Davis decise di non metterli sotto contratto. Il gruppo registrò solo sette canzoni invece della dozzina prevista ma l’unica pubblicazione fu quella del singolo “Politicians in My Eyes” con una tiratura di sole 500 copie. Quelle sessioni hanno visto la luce solo nel 2009 grazie alla lungimirante Drag City che ha pubblicato le registrazioni del 1975 sotto il nome di …For the Whole World to See. Proprio quel singolo è il brano scelto per il podcast, brano che lascia intuire la potenza di quella che forse è stata l’unica band protopunk afroamericana. I fratelli Hackney decisero di chiudere l’avventura Death nel 1977.
Alle volte mi sorprendo, e non in positivo, per aver colpevolmente ignorato artisti fondamentali nelle scalette dei miei podcast. Mi cospargo il capo di cenere per non aver parlato prima dei Violent Femmes. Il gruppo fu fondato dal bassista Brian Ritchie e dal percussionista Victor DeLorenzo nel 1981, ai quali si aggiunse poco dopo il cantante e chitarrista Gordon Gano. Agli inizi, i tre suonavano spesso nei caffè e agli angoli delle strade fino a quando si accorse di loro James Honeyman-Scott (Pretenders), quando, da provetti buskers, i tre stavano suonando all’angolo della strada di fronte all’Oriental Theatre, il locale di Milwaukee dove i Pretenders avrebbero suonato quella sera. La riscoperta delle radici folk filtrate dal punk e dalla rabbia post-adolescenziale è alla base di un suono che è riuscito a colpire e coinvolgere profondamente.
Nell’estate del 1982, i tre si ritrovano a Lake Geneva, Wisconsin, per registrare il loro omonimo disco di debutto. Le dieci canzoni dell’album verranno pubblicate nell’aprile del 1983, quaranta minuti di musica che avranno un successo notevole nel nascente mondo “alternativo”. Una strumentazione scarna, testi diretti, scritti da Gordon Gano quando era un liceale diciottenne a Milwaukee. Uno stile che ben presto diventa riconoscibile ed imitato, per quanto le ritmiche grezze e la chitarra scorbutica siano un marchio di fabbrica difficilmente imitabile. “To The Kill” è soltanto una delle gemme contenute in questo prezioso scrigno senza tempo.
Fra le accidentate e nebbiose salite delle Blue Ridge Mountains, in Virginia, ecco arrivare i barbuti e bucolici Jennings, Lain e Van Carney, meglio conosciuti come Pontiak. Loro sono diventati un gruppo di assoluto riferimento, riuscendo ad essere sempre originali e convincenti sia quando suonano psichedelici e stoner, sia quando virano verso americana e hard rock. Nell’arco degli anni il loro approccio li ha resi perfettamente riconoscibili, una sorta di robusto rock psichedelico, che i fratelloni riescono a declinare in maniera innovativa, smussandone gli angoli, e segnando la consapevolezza del loro processo creativo, strumentale e vocale.
In una discografia quasi perfetta che li ha consacrati come miglior band di rock psichedelico del nuovo millennio, capace di standard qualitativi elevatissimi, spicca anche un EP chiamato Comecrudos da non categorizzare come produzione minore solo a causa dello scarso minutaggio. Il disco è stato registrato nel 2011 a cavallo tra i due album che, con ogni probabilità, sono stati lo zenith creativo del trio: Living e Echo Ono. “Part III”, che apre il secondo lato, è una lenta psichedelia distorta e cosmica che avvince ed avvolge con le pennate acide e i cori trascinanti prima che le sue spirali soniche spazzino via tutto con la consueta energia. Speriamo solo che il silenzio dei tre, che dura dal 2017, possa interrompersi presto e che non abbiano deviato la loro energia solo a supporto del loro birrificio.
Rimaniamo in ambito psych-rock e nell’orbita Thrill Jockey. Un altro trio proveniente in parte da Brooklyn ma attualmente residente a Portland, nell’Oregon, sono i Dommengang. La band è formata dal chitarrista Dan ‘Sig’ Wilson, il bassista Brian Markham e il batterista Adam Bulgasem e propongono un rock psichedelico punteggiato da fuzz e riverberi, contaminato dal blues. Dopo quattro anni di silenzio e il trasferimento nell’Oregon i tre si sono messi al lavoro per registrare il loro quarto album in studio. Il risultato è stato Wished Eye, un disco che da poco ha fatto la sua comparsa sugli scaffali.
Brian Markham ha spiegato così la genesi del nuovo disco: “Abbiamo suonato diverse volte a settimana per due anni, a volte senza un vero obiettivo se non quello di suonare e fare rumore insieme”. Il chitarrista Dan ‘Sig’ Wilson ha aggiunto: “Andavamo alle prove senza alcuna aspettativa, se non quella di far respirare ogni idea e di lasciarla andare per tutto il tempo necessario”. Lavorando senza vincoli o limitazioni di tempo, hanno potuto scavare più a fondo che mai nelle loro esperienze comuni tracciando una strada molto interessante. Il disco è estremamente piacevole, tra brume folk e fumose jam, con vertici assoluti come la “Myth Time” inserita in scaletta.
Poche settimane fa è arrivata la notizia che Neil Michael Hagerty, fondatore di Royal Trux e The Howling Hex (e per chi lo ricorda, anche ex musicista dei Pussy Galore), è stato arrestato dalla polizia di Denver dopo aver aggredito alcuni agenti di polizia. Secondo quanto riportato da Stereogum, i poliziotti erano a casa sua per verificarne le condizioni di salute dopo aver ricevuto la chiamata di un vicino, quando Neil, uscito in strada, ha iniziato ad attaccarli strappando il distintivo a un primo agente e ferendolo alla gola procurandogli un taglio di 15 centimetri. Non contento avrebbe tentato di sottrarre il Taser ad un secondo poliziotto ferendolo a una mano. Non si sa cosa abbia deliberato il giudice ma c’è preoccupazione per lo stato psicologico del chitarrista, tanto che la moglie ha lanciato una raccolta fondi su GoFundMe per sostenere le spese legali e le cure per la sua salute mentale.
Non più tardi di 7 anni fa Hagerty aveva ripreso i suoi canovacci garage e folk modellandoli come sempre in maniera geniale. Il suo album del 2016 intitolato Denver risulta essere piacevolmente conciso (appena 27 minuti) e ancora più meravigliosamente eseguito, in un unico flusso di abbandono creativo che da tempo non gli riusciva. Tra garage, psichedelia e una sorta di felice country-hardcore la chitarra di Hagerty si esibisce in un vittorioso rodeo. Il gran finale del disco è affidato a “300 Days Of Sunshine”, brano che unisce e completa tutti toni ed i suoni espressi nei 22 minuti precedenti con una precisione ed una bellezza suprema. L’album risulta piacevolmente conciso e meravigliosamente eseguito. Impossibile non amare questo pazzo scriteriato e le sue folli e geniali idee, sperando che possa riprendersi da questa spiacevolissima avventura.
Tornando al discorso dei dischi che non passavo da tantissimo tempo… Ho già parlato nello scorso podcast della stucchevole mania di celebrare qualsiasi anniversario di qualsiasi disco, anche se non si parla di una cifra tonda. Ma certo alcuni di questi colpiscono per la velocità del tempo che passa. 30 anni fa usciva Chrome, secondo album del gruppo inglese Catherine Wheel, che, almeno agli inizi, era collocato nel (meraviglioso) calderone del nascente shoegaze. La band si è formata nel 1990 e comprendeva il cantante-chitarrista Rob Dickinson (cugino di Bruce Dickinson degli Iron Maiden), il chitarrista Brian Futter, il bassista Dave Hawes e il batterista Neil Sims. Il loro nome deriva dal fuoco d’artificio noto come Ruota di Caterina, che a sua volta aveva preso il nome dall’omonimo strumento di tortura medievale.
Se molti hanno visto nell’esordio Ferment il loro apice sonoro proprio per l’ampio uso del feedback della chitarra ottenuti dall’interazione con un gran numero di pedali per effetti sul pavimento del palco, il successivo Chrome amplia forse lo spettro sonoro con l’ausilio del produttore Gil Norton (tra i tanti, Pixies e Echo & the Bunnymen) che aiutò la band a liberarsi dell’etichetta originale di shoegazing, pur facendo un uso sapiente delle atmosfere. Il risultato è un album forse più aggressivo ma capace di tirare fuori brani straordinari come “Crank”, “Ursa Major Space Station” e la splendida “Strange Fruit” inserita in scaletta.
Un gruppo britannico che non è mai riuscito ad avere la visibilità ed i riconoscimenti che meritava è stato senza dubbio i The Sound. Quartetto fondato nella zona sud di Londra nel 1979 da Adrian Borland dalle ceneri della band punk The Ousiders, Avevano tutto per sfondare, ma forse gli mancava una “specializzazione” per sfondare davvero. Era un periodo in cui c’erano ancora i punk duri e puri, iniziavano ad esserci i dark appartenenti alle legioni della new-wave, c’erano i fan della nuova psichedelia inglese. L’unica pecca dei The Sound, che accontentavano tutti ma allo stesso tempo sembravano non accontentare nessuno. A guardar bene non era una pecca proprio per niente, ma in quel periodo andavano in maniera particolare le caratterizzazioni, sia di genere musicali che per quanto riguarda le personalità che guidavano le band on stage.
Il gruppo fa il suo esordio nel 1980 con Jeopardy, album realizzato con un budget molto limitato, ma che riuscì a colpire moltissimo la critica musicale dell’epoca. La new-wave del gruppo si aggirava tra accelerazioni punk e momenti di desolazione, una visione introspettiva e romantica, che spesso vira verso una sorta di pessimismo cosmico. La splendida “Heartland” proposta in scaletta è manifesto del loro modo trascinante di fare musica. Ma all’entusiasmo della critica non ci sarà un riscontro commerciale adeguato. Dopo il successivo e altrettanto splendido From The Lion’s Mouth, anche questo amato dalla critica ma non troppo dal pubblico, la band comincerà a subire la pressione dell’industria discografica che vuole rendere il loro suono più appetibile al grande pubblico. Il gruppo sceglierà di non adeguarsi al diktat della sua etichetta discografica spegnendosi lentamente. Lo stesso Borland tenterà una sfortunata ed inadeguata carriera solista prima di arrendersi ai proprio demoni gettandosi sotto un treno alla Wimbledon Station di Londra il 26 aprile 1999.
Fa un po’ ridere pensare che gli Only Ones hanno avuto un clamoroso successo nel 2006 quando la loro canzone più famosa, “Another Girl, Another Planet” è stata utilizzata per una campagna pubblicitaria della Vodafone. In realtà, il successo “postumo” è stato così forte da convincere Peter Perrett (che aveva formato la band a Londra nell’agosto del 1976) a riunire il suo vecchio gruppo per un tour britannico di grande successo. Il brano, che voglio proporre in questo podcast conclusivo, è tratto dall’album di esordio autointitolato, pubblicato nel 1978, e seguito da altri due album prima dello scioglimento avvenuto ufficialmente nel 1982.
Il gruppo si era formato originariamente nell’agosto del 1976 nel sud di Londra per iniziativa di Peter Perrett, chitarrista che registrava demo dal 1972 e alla fine del 1975 era alla disperata ricerca di un bassista. Gli viene presentato John Perry come possibile candidato, ma Perry vuole invece concentrarsi sulla chitarra. Nell’agosto del 1976, Perry e Perrett avevano trovato il batterista Mike Kellie (ex-Spooky Tooth) e il bassista Alan Mair, che in precedenza aveva avuto un enorme successo con il gruppo scozzese The Beatstalkers. Il loro primo singolo, “Lovers of Today”, autopubblicato con l’etichetta Vengeance, fu immediatamente nominato “disco della settimana” da tre dei quattro principali giornali musicali. Un anno dopo firmano per la CBS. Il loro mix di punk e power pop ha sempre avuto un grande seguito di culto fino al boom del 2006. In ogni caso molti gruppi pagherebbero di tasca propria pur di avere nel proprio repertorio un brano così, assolutamente perfetto.
Abbiamo parlato di anniversari, lieti e meno lieti. Il 3 Aprile, ricordando il quarto anniversario dalla morte del cantante Shawn Smith, la pagina Facebook dei Brad ha annunciato che il loro ultimo album, contenente le canzoni a cui stavano lavorando con Smith proprio nel 2019, sarebbe stato il 28 Luglio, con il titolo In The Moment That You’re Born. Inoltre la band annunciava anche la ristampa in vinile del loro album di esordio, Shame, pubblicato proprio 30 anni fa, il 28 aprile del 1993. L’album venne pubblicato nel momento d’oro del grunge di Seattle, la band si era formata ufficialmente nel 1992, anche se i membri della band suonavano insieme già da molto tempo. La formazione del gruppo era composta dal cantante Shawn Smith, dal chitarrista Stone Gossard (Pearl Jam), dal bassista Jeremy Toback e dal batterista Regan Hagar.
In realtà, come molti sapranno, molte delle band di Seattle dell’epoca erano strettamente connesse, ad esempio il batterista Regan Hagar era stato il batterista dei Malfunkshun dal 1980 al 1988, con Andrew Wood dei Mother Love Bone alla voce. Hagar, oltre a far parte dei Brad con Stone Gossard (anche lui ex Mother Love Bone), sedeva dietro ai tamburi nell’altro progetto parallelo di Shawn Smith, i Satchel. In realtà, pur avendo evidenti punti di contatto con il grunge, proprio il falsetto ed il pianoforte di Smith erano capace di trasportare il suono in un mondo parallelo, più etereo, soul, una voce riconoscibile ed emozionante come dimostra la splendida e commovente “Screen” inserita in scaletta.
I Daughter – il trio composto da Elena Tonra, Igor Haefeli e Remi Aguilella – si sono formati nel 2010. Dopo aver pubblicato due album in studio, If You Leave (2013) e Not to Disappear (2016), e la colonna sonora del videogioco Music From Before the Storm (2017), hanno scelto di prendersi una pausa. Ma non prima di aver suonato insieme a Los Angeles, tra un tour di supporto ai The National e i loro primi concerti da headliner in Sud America. È qui che ha iniziato a germogliare un nuovo album. Nei due anni successivi,cdurante i quali hanno lavorato ai propri progetti, compreso il disco solista di Tonra sotto il nome di Ex:Re, i Daughter si sono incontrati occasionalmente per scrivere insieme negli studi di Londra, Portland e San Diego, dove Haefeli ha vissuto per sei mesi nel 2019.
La figura romantica centrale del disco è una persona che la Tonra ha incontrato lì in visita da Londra. Hanno condiviso un legame significativo, ma lei sapeva che erano separati dall’Atlantico e la distanza è un punto cardine di Stereo Mind Game, il nuovo album appena uscito dopo ben 7 anni di silenzio. I Daughter hanno iniziato a registrare seriamente le dodici canzoni dell’album nel 2021. Haefeli, che vive a Bristol, si è incontrato con Tonra nei Middle Farm Studios di Devon. Aguilella, che vive a Portland, Oregon, ha registrato le sue parti di batteria nei Bocce Studio di Vancouver, Washington. La pandemia ha fatto il resto, allungando la tempistica dell’uscita del disco fino ad ora. Ma valeva la pena di aspettare per poter riascoltare il loro suono evocativo, una sorta di dream-pop impreziosito dall’orchestra d’archi londinese 12 Ensemble. Canzoni avvincenti e nostalgiche, come la splendida “To Rage” inserita in scaletta.
A cavallo tra i ’90 e gli anni 2000 ci sono stati diversi songwriters che hanno saputo tracciare una linea importante e toccare le corde giuste dell’emozione. In particolare tre ragazzi tanto talentuosi quanto fragili psicologicamente sono riusciti ad emozionarmi in maniera importante, tre ragazzi che sono stati vittime della loro stessa fragilità interiore scegliendo la medesima strada per allontanarsi da questo mondo. Vic Chesnutt, Mark Linkous aka Sparklehorse e Jason Molina. Anche se quest’ultimo non ha proprio volontariamente lasciato questo piano dell’esistenza ma in qualche modo è come se lo avesse fatto lentamente ma inesorabilmente, aveva grandi problemi con l’alcool e purtroppo non aveva l’assicurazione sanitaria: questo negli Stati Uniti difficilmente perdona. Il podcast si chiude proprio con Chesnutt, che nel 1983 fu vittima di un tremendo incidente stradale mentre guidava sotto l’effetto dell’alcool. Perse il controllo della vettura finendo in un canale, uscendone con gli arti inferiori paralizzati e rimanendo su una sedia a rotelle per il resto della sua vita.
Questo non impedì a Chesnutt di iniziare una carriera musicale che trovò una svolta con il trasferimento a Athens, Georgia, e l’interesse di Michael Stipe che produsse i suoi primi due lavori. At The Cut è stato il suo ultimo lavoro, uscito per la Constellation, e che ripropone la sinergia con i Silver Mt. Zion e con Guy Picciotto dei Fugazi. Sue facciate dove si mescolano perfettamente il songwriting dolente di Chesnutt con le atmosfere cinematiche e tragiche del collettivo canadese. “It Is What It Is” è solo una delle meraviglie di questo album di cui consiglio assolutamente l’ascolto. Una scrittura magistrale ed ipnotica, tormentata e affascinante.
Un grazie speciale va, come sempre, a Franz Andreani per la sua passione, la gestione di questa banda di pazzi e per la splendida riorganizzazione del sito già attiva da qualche anno. A cambiare non è stata solo la versione grafica del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Sulla nostra pagina Facebook troverete quotidianamente ogni upload del sito e, ormai da tempo, è attivo anche lo splendido canale YouTube della Radio, una nuova formula senza interruzioni ne spot per ascoltare la vostra-nostra musica preferita. Iscrivetevi numerosi, vi aspettiamo!
Il prossimo episodio di Sounds & Grooves partirà con una delle band più influenti della storia del rock come i Sonic Youth, proseguendo con il suono ottundente degli Swans e il ritorno di un maestro come John Cale in combutta con i sempre ispirati Fat White Family che seguiranno a ruota. Troverete anche il talento potente di un’ispirata KY, nuova arrivata in casa Constellation, il post-punk alternativo degli Squid in attesa del nuovo album, le traiettorie sghembe degli Ought e quelle lineari e trascinanti dei Dinosaur Jr. Fortissime emozioni arriveranno con Daniel Johnston e Sparklehorse e con il cantautorato senza tempo di Shawn Phillips. Il finale sarà appannaggio di un Peter Gabriel di annata, la malinconia virato seppia dei Red House Painter e il nuovo, splendido, Blood Quartet. Il tutto sarà, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web. Potete anche scrivere a stefano@stefanosantoni14.it
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. THE POP GROUP: We Are Time da ‘Y’ (1979 – Radar Records)
02. RIP RIG + PANIC: Constant Drudgery Is Harmful To Soul, Spirit & Health da ‘God’ (1981 – Virgin)
03. X-RAY SPEX: Art-I-Ficial da ‘Germfree Adolescents’ (1978 – EMI International)
04. DEATH: Politicians In My Eyes da ‘…For The Whole World To See’ (2009 – Drag City)
05. VIOLENT FEMMES: To The Kill da ‘Violent Femmes’ (1983 – Rough Trade / Slash)
06. PONTIAK: Part III da ‘Comecrudos’ (2011 – Thrill Jockey)
07. DOMMENGANG: Myth Time da ‘Wished Eye’ (2023 – Thrill Jockey)
08. NEIL MICHAEL HAGERTY & THE HOWLING HEX: 300 Days of Sunshine da ‘Denver’ (2016 – Drag City)
09. CATHERINE WHEEL: Strange Fruit da ‘Chrome’ (1993 – Fontana)
10. THE SOUND: Heartland da ‘Jeopardy’ (1980 – Korova)
11. THE ONLY ONES: Another Girl, Another Planet da ‘The Only Ones’ (1978 – CBS)
12. BRAD: Screen da ‘Shame’ (1993 – Epic)
13. DAUGHTER: To Rage da ‘Stereo Mind Game’ (2023 – 4AD)
14. VIC CHESNUTT: It Is What It Is da ‘At The Cut’ (2009 – Constellation)
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Un gigante!!! Fisicamente e musicalmente. Ciao Mark. #MarkStewart #thepopgroup pic.twitter.com/XiqBxpzoeN
— SoundsAndGrooves (@SoundsGrooves) April 22, 2023