Le avventure in musica di Sounds & Grooves continuano nella 12°stagione di RadioRock.to The Original
Speriamo che siano state di vostro gradimento tutte le novità messe in campo dalla 12° stagione di radiorock.to: dall’atteso restyling del sito, al nuovo hashtag #everydaypodcast che ci caratterizza, per finire (last but not least) alla qualità della musica e del parlato che speriamo sempre sia all’altezza della situazione e soprattutto delle vostre aspettative. La Radio Rock in FM come la intendiamo noi è sparita da due decenni, ma in questi 12 anni stiamo tenendo accesa una fiammella, cercando di raddoppiarla, moltiplicarla, farla diventare un faro di emozioni e qualità musicale con tutta la passione e la voglia di fare radio che nonostante tutto non ci è mai passata.
Il 5° Episodio di Sounds & Grooves per la 12 Stagione di radiorock.to è uno scrigno prezioso, ed impiegherete circa 76 minuti per esaminare tutte le pietre preziose che contiene. Si va dal potente math-rock degli Yowie, alla contaminazione tra tradizione italiana e suggestioni sudamericane di Lucio Battisti. Tra questi due estremi ci sono le melodie di gran classe di Beach Boys, Magnetic Fields, Jim O’Rourke e Lloyd Cole, la psichedelia italiana degli In Zaire, la fisica associata al rock degli Shellac, il sublime cantautorato di Bill Callahan, le intriganti alchimie sonore di Gold Dime e Ant Lion, il rilancio di Johnny Cash, il debutto di Bjork e i Blonde Redhead. Non mancate di farci sentire il vostro affetto e di darci il vostro apporto quotidiano. E’ una stagione importante, ci siamo rifatti il trucco per offrire anche dal punto di vista grafico e funzionale con un sito web nuovo di zecca al passo con i tempi. Eccoci. Siamo tornati.
Download, listen, enjoy!!!
Prima di partire con questo viaggio in musica potete effettuare il download del podcast anche nella versione a 320 kb/s semplicemente cliccando sul banner qui sotto.
Una figura chiave di un certo tipo di intendere il rock è senza dubbio Steve Albini. Personaggio importante (come ad esempio Jim O’Rourke di cui parleremo più tardi) sia come musicista che dietro alla consolle in veste di produttore. Albini, di chiara origine italiana, si era ritirato per cinque anni protestando contro l’industria discografica dopo le avventure tanto claustrofobiche quanto dirompenti con i Big Black e Rapeman. Quando decide di tornare nelle vesti di musicista lo fa in grande stile, con il suo nuovo gruppo, gli Shellac, ed un album come At Action Park. Nel frattempo non era rimasto con le mani in mano collaborando con gli stessi Fugazi, gli Slint, i Jesus Lizard. At Action Park è un tornado che risucchia vorticoso tutto quello che incontra, violento e matematico allo stesso tempo, un suono che implode nel nulla anziché esplodere come dimostra “Song Of The Minerals”. Il basso di Bob Wetson, la chitarra di Albini, e la batteria di Todd Trainer si fanno beffa della fisica diventando rispettivamente massa, velocità e tempo controllando il suono e spezzettandolo a loro piacimento.
Lo yowie è una creatura leggendaria australiana, della cui esistenza non esistono prove, dalle sembianze umane ricoperto di pelo simile ad una grossa scimmia. Ma Yowie è anche il nome di una band creata a St.Louis nel 2000 che torna con il terzo album in studio intitolato Synchromysticism dopo cinque anni di silenzio. Un math rock codificato in maniera diversa dal solito con gli intrecci delle due chitarre di Jeremiah Wonsewitz e del nuovo Christopher Trull (ex Grand Ulena) con i complessi poliritmi del torrenziale batterista Shawn “Defenestrator” O’Connor. Se amate gli incastri perfetti di chitarra e una batteria che non sbaglia un colpo, se ricordate e ascoltate con passione gruppi come Blind Idiot God, Dazzling Killmen o Don Caballero, è un disco consigliatissimo che esce per un’ etichetta storica del genere come la Skin Graft in una splendida confezione completa di vinile colorato e poster. “Mysterium Tremendum” è solo una delle 5 tracce che in poco più di trenta minuti saranno capaci di conquistarvi.
Ogni tanto qualcuno si lamenta che attualmente si produce solo musica di merda. Affermazione che può essere corretta solo se si osserva il mondo musicale solo da un punto di vista superficiale semplicemente ascoltando quello che propongono le radio commerciali o il mainstream in generale. La situazione probabilmente è ancora più evidente nella nostra penisola, sconvolta musicalmente dai talent show e dai fenomeni da baraccone su YouTube e sui social networks. Proprio in una situazione così complicata, è importante che la passione e la curiosità non vengano mai meno, per andare a cercare le proposte davvero interessanti che invece ci sono sempre, nel mondo come in Italia. Spero non essere tacciato di conflitto di interessi per perorare la causa di un mio (quasi) omonimo, Stefano Amerigo Santoni, che dopo averci deliziato con i Sycamore Age ha messo in campo una nuova band con cui proporre un suono coraggioso insieme ad altri tre musicisti della scena toscana: Simone Lanari (Walden Waltz), Alberto Tirabosco (Punk Lobotomy) e Eleonora Giglione aka Isobel Blank (Vestfalia). Gli Ant Lion arrivano all’album di esordio intitolato A Common Day Was Born facendo subito centro grazie a 10 tracce splendidamente anarchiche dove convivono moltissime influenza sonore che attraversano trasversalmente anni di rock-funk-jazz passando per le poliritmie di un certo post rock britannico di marca Too Pure e con spruzzate leggere di wave e prog. Detto così sembra un inestricabile labirinto, ma ascoltate le differenze stilistiche di ogni brano e lasciatevi trasportare dalle storie raccontate con passione dalla splendida voce di Isobel Blank come questa scura e melodica “Last Day Of Night”.
Nel 2013 Claudio Rocchetti, Stefano Pilia, Ricky Biondetti e Alessandro De Zan ci avevano piacevolmente sconvolto con un album fantastico uscito a nome In Zaire ed intitolato White Sun Black Sun prima di immergersi di nuovo nei loro mille progetti diversi. Claudio Rocchetti e Stefano Pilia hanno fatto parte degli indimenticati 3/4HadBeenEliminated per poi passare nel caso di Rocchetti principalmente alla carriera solista tra ambient e noise, mentre Pilia, da annoverare senza dubbio tra i migliori chitarristi italiani, fa parte della nuova formazione degli Afterhours, ha formato un trio con Andrea Belfi e il grande Mike Watt chiamato Il Sogno del Marinaio, ed è entrato in pianta stabile ad arricchire anche la formazione dei Massimo Volume. Non bastasse lo scorso anno ha pubblicato un album solista, Blind Sun New Century Christology, pubblicato dalla Sound of Cobra, etichetta fondata proprio dal batterista degli In Zaire, Ricky Biondetti. Il nuovo Visions of the Age to Come è un altro disco enorme, che mostra un’evoluzione stilistica rispetto al disco precedente. Ci sono cose nuove, stili e generi diversi. La band si è avvicinata di più alla forma canzone senza per questo rinunciare alla loro grande voglia di sperimentare. La voce ha una sua parte importante anche se non centrale, e i quattro hanno un modo unico di presentare la loro personale forma di rock psichedelico mescolato al kraut-rock, al metal, alla musica nera africana e addirittura alla new wave come si può leggere talvolta tra le righe. Ascoltate “Synchronicity” e perdetevi tra le note di quella che è senza dubbio una delle migliori band italiane in senso assoluto.
I Blonde Redhead sono stati formati nel 1993 a New York dall’incontro dei gemelli italiani Amedeo (voce e chitarra) e Simone Pace (batteria) con la cantante giapponese Kazu Makino. All’inizio della storia faceva parte della band anche la bassista Maki Takahashi che però lascerà la band subito dopo l’album di esordio. Dopo i primi album devoti al noise-rock dei Sonic Youth e cesellati proprio dalla produzione di Steve Shelley, il trio decide di virare leggermente atmosfera approdando ad un suono più levigato, una loro particolare declinazione della melodia codificato proprio dal titolo del loro quinto album in studio Melody Of Certain Damaged Lemons, uscito per la storica etichetta Touch And Go e prodotto da Guy Picciotto, chitarrista dei Fugazi. Il risultato è forse il miglior album della loro carriera, dove convivono le diverse anime del gruppo e che risulta convincente anche nella migliori tracce del nuovo corso come la splendida ballata “Hated Because Of Great Qualities”.
Nel 2005 a Brooklyn, due musiciste si incontrano alla New York University. Andrya Ambro e Sarah Register trovano diverse affinità elettive e un comune modo di concepire la musica che le portano ad unirsi sotto il nome di Talk Normal con la prima alla batteria e la seconda alla chitarra. Un album, un EP e qualche split prima di sciogliersi, un peccato perché il loro scorbutico approccio alla no wave aveva più di un motivo di interesse. Lo scioglimento non ha inficiato l’amicizia tra le due ragazze, tanto è vero che il ritorno della Ambro sotto la nuova ragione sociale di Gold Dime vede la Register fida alleata dietro al mixer. Il disco si intitola Nerves, e sono proprio le terminazioni nervose ad essere lo scheletro di otto tracce che si muovono in maniera oscura, con un drumming che sembra essere sempre sul punto di esplodere, con scudisciate che fanno male, più accessibili se vogliamo rispetto a quelle delle Talk Normal, ma sempre sul filo del rasoio. La melodia che apre “Disinterested” non vi tragga in inganno, cercate un rifugio sicuro per ripararvi dalle schegge industriali che vi arriveranno senza sosta. Uno degli album più interessanti usciti nel 2017.
Torniamo su lidi sonori più “rassicuranti” con il capolavoro di Lloyd Cole & The Commotions, un album intitolato Rattlesnakes. La band viene formata da Cole a Glasgow nel 1982, ed il successo arriverà subito, in realtà anticipato dal riscontro dei singoli “Perfect Skin” e “Forest Fire” che pur non entrando nella Top 10 tireranno la volata all’album che comunque arriverà fino al #13. Cole avrà il destino riservato ad altri artisti del genere, troppo raffinato per il grande pubblico e allo stesso tempo troppo semplice per chi cercava qualcosa di più intrigante. ma il suo senso della melodia e la sua scrittura sono sempre stati scintillanti e perfetti, soprattutto in questo straordinario debutto, dove Cole insieme ai compagni di avventura Neil Clark (chitarra), Lawrence Donegan (basso), Blair Cowan (tastiere) e Stephen Irvine (batteria) disegnano 10 affreschi di vita vissuta. Difficile scegliere una traccia che possa rappresentare questo album, alla fine la scelta è andata sull’irresistibile secondo singolo “Forest Fire”, qui nella versione suonata live per una BBC Session pubblicata nella splendida edizione Deluxe uscita nel 2004 per celebrare il ventennale dalla pubblicazione.
Ho sempre amato le canzoni in bassa fedeltà, pervase da un ambientazione decadente, da una malinconia che non raramente viene attraversata da un pungente sarcasmo. Lui si nascondeva sotto il moniker di Smog, ma dal 2007, dopo aver rilasciato diversi album notevoli tra cui il capolavoro Julius Caesar, ha deciso di firmarsi semplicemente con il suo vero nome, Bill Callahan. Esponente di punta di un certo tipo di cantautorato lo-fi insieme a Will Oldham o al compiano Jason Molina, Callahan ha sempre continuato a sfornare album mai meno che eccellenti, come questo splendido Dream River, pubblicato nel 2013. Le sue composizioni sono semplici ma mai banali, suonate in punta di dita, sussurrate, attraversate da anni di folk, country, da storie di vita vissuta da raccontare con intelligente sarcasmo. A volte si lascia andare anche a composizioni più jazzate, con la consapevolezza dello stregone che sa come ammaliare chiunque lo ascolti, come dimostra la splendida “Spring”.
Che personaggio Stephin Merritt!! Fondatore e leader dei The Magnetic Fields, fine conoscitore di pop e dell’animo umano. Merritt ha fatto uscire nel corso del 2017 l’ennesimo progetto ambizioso della sua carriera, per celebrare degnamente i suoi 50 anni ha pubblicato il monumentale 50 Song Memoir, dedicando una canzone ad ogni anno della sua vita. Referente diretto di questo album è senza dubbio il capolavoro 69 Love Songs, triplo album che uscito nel 1999 in tre volumi separati non aveva all’inizio avuto il meritato successo di critica e pubblico. Tra i riferimenti dell’arte di Merritt ci sono senza dubbio Leonard Cohen, Bob Dylan, ed il perfezionismo pop di Brian Wilson di cui ci occuperemo tra poco. Naturalmente l’amore è il filo conduttore dell’album, declinato in tutte le sue molteplici sfaccettature in 69 canzoni che incredibilmente non si somigliano tra di loro. Difficile, se non impossibile trovarne una che possa rappresentare l’intero lavoro, alla fine la scelta è caduta su una delle melodie che mi ha sempre colpito di più, quella intitolata “All My Little Words”.
Cosa dire di Jim O’Rourke? Personaggio cardine non solo del post-rock di Chicago, ma della musica alternativa in generale a partire dagli anni ’90 sia come chitarrista (Gastr Del Sol, Loose Fur, Sonic Youth e molti altri) che come produttore (Wilco, Stereolab, Superchunk, John Fahey, Smog, Faust, Tony Conrad, The Red Krayola, Bobby Conn, Beth Orton, Joanna Newsom e U.S. Maple solo per citarne alcuni). Nel 1999 O’Rourke ha lasciato per n attimo da parte le sue più recenti incisioni perennemente in bilico tra improvvisazione ed avanguardia per andare ad incidere canzoni semplici. In realtà le otto tracce che compongono Eureka semplici non lo sono affatto, anche se il fatto di essere estremamente orecchiabili potrebbe farlo pensare. L’inclusione in scaletta di “Something Big” di Burt Bacharach è la cartina di tornasole di un’idea precisa di pop orchestrale che stupisce per l’ispirazione limpida, la meraviglia della costruzione degli incastri e la grande sensibilità e capacità di autore del chicagoano, dimostrata nella splendida “Ghost Ship In A Storm” con le sue limpide armonie e la splendida sezione di fiati.
Icona della storia della musica, Johnny Cash è sempre stato un grande interprete non solo del country, ma anche folk e blues. Dopo l’esordio alla fine dei ’50 ed il grande successo negli anni ’60 con album memorabili come quelli registrati live per i prigionieri del carcere di massima sicurezza di Folsom (At Folsom Prison) e di San Quintino (At San Quentin), continuò anche nei primi anni ’70 il suo percorso di successo, con la sua immagine di Man In Black per il suo vestirsi sempre di nero. Ma alla fine dei ’70 la sua popolarità iniziò prima lentamente poi sempre più velocemente a calare, e gli anni ’80 lo videro anche con numerosi problemi fisici tra cui un doppio bypass coronarico e altri problemi dovuti dalla sua vecchia dipendenza dall’alcool. Ma nel 1994 il produttore Rick Rubin (Slayer, RHCP tra gli altri) lo mise sotto contratto per la sua American Recordings. Rubin era stato da sempre un grande fan del Man In Black, ed era l’uomo giusto per la sua risurrezione artistica. Il primo album inciso per l’etichetta, chiamato semplicemente American Recordings, è un disco prettamente acustico, formato da brani del suo repertorio e da cover di artisti scelti da Rubin (tra cui Kris Kristofferson e Leonard Cohen), ed è accolto trionfalmente. Cash suona e canta con profonda ispirazione, con il cuore in mano, toccando l’anima anche del pubblico giovane e “mainstream” che non aveva mai sentito parlare del leggendario Man in Black. “Down There By The Train” scritta da Tom Waits è di una bellezza commovente, e sigilla il ritorno di un artista straordinario, che riesce ad esprimere religiosità e trasgressione, la redenzione di un uomo che ha sul viso i segni del peccato. Seguiranno dopo questo altri 5 album della serie American, di cui gli ultimi due purtroppo postumi, a sancire la grandezza di un mito.
Per la rubrica Rock N Roll Time Machine ho deciso di partire dal 1967, anno di svolta della musica popolare. Ma i semi di quello che poi è esploso nel ’67 erano già stati piantati anni prima naturalmente, e grandi classici della musica erano già stati pubblicati, come un album che, uscito nel 1966, è diventato presto un classico della musica pop con cui tutti da quel momento in poi si sono dovuti confrontare. Non che sia stato facile per i The Beach Boys pensare e realizzare Pet Sounds, anzi. Brian Wilson non era il classico californiano tutta tavola da surf, e la filosofia del gruppo dedicata al solo divertimento iniziava a stargli un po’ stretta. L’album ebbe una gestazione travagliata e una ricezione complessa da parte di pubblico e critica. Anche l’etichetta Capitol, abituata a far girare il registratore di cassa con gli hits sfornati dai ragazzi californiani, rimase abbastanza perplessa di fronte agli elaborati arrangiamenti orchestrali messi su da Wilson con maniacale precisione. Non è un vero concept album ma poco ci manca, sulla storia di un adolescente e le sue prese di coscienza sui vari aspetti della vita. L’album non ebbe grande riscontro negli States ma ebbe un grande successo in GB e un plauso della critica dappertutto. La leggenda vuole addirittura che la coppia Lennon-McCartney fu talmente colpita dalla bellezza accecante e dall’intensità melodica di “God Only Knows” da avere l’ispirazione per la scrittura di “Here, There And Everywhere”. Sarà vero? chi lo sa, ma la certezza è che il sul parallelo tra Brian Wilson e Paul McCartney è fiorita tutta una letteratura.
“Un artista non può camminare dietro il suo pubblico, un artista deve camminare davanti” parole di Lucio Battisti, spesso suffragate dai fatti durante la carriera di uno dei più moderni e influenti interpreti italiani. E dopo il successo clamoroso di due album come Il Mio Canto Libero e Il Nostro Caro Angelo (che contengono alcune delle canzoni più famose della musica italiana), Battisti decide di dare una svolta, ispirato da un recente viaggio in sudamerica. Anima Latina è il disco in cui si stacca volontariamente dal successo nazional-popolare per esplorare altri mondi, altri ritmi, donare alla sua musica un respiro diverso. Il disco probabilmente è uno dei più belli dell’intera storia della musica pop italiana, complesso musicalmente e dedicato al rapporto di coppia e all’erotismo liricamente, undici tracce che si muovono in maniera sinuosa, suonati magistralmente da alcuni dei migliori musicisti dell’epoca, da Ares Tavolazzi a Claudio Maioli, e mai una rottura così profonda con il passato è sembrata così coerente con lo spirito del suo autore. Non potete trovare Battisti su Spotify per il veto che la moglie Grazia Letizia Veronese ha sempre posto per qualsiasi tentativo di uso della musica del marito, per cui se volete ascoltare l’ambizioso afflato strumentale, l’uso stratificato di fiati e sintetizzatori, e lo splendida voce di Lucio in questo disco e in particolare nell’incredibile meraviglia di “Macchina Del Tempo“, ascoltate questo podcast, fatevi prestare il disco da chi ce l’ha o meglio ancora, compratelo, i vostri padiglioni auricolari vi ringrazieranno e probabilmente potreste vedere il pop italiano sotto una veste diversa e più luminosa.
Chiudiamo il podcast con un’artista che ha appena pubblicato il suo nono album in studio intitolato Utopia. L’islandese Björk ha esordito da solista addirittura ad 11 anni, nel 1977 con un album che porta il suo nome e che contiene alcune canzoni popolari cantate in islandese. L’album ebbe un successo notevole in patria arrivando al disco d’oro, e con i proventi si comprò un pianoforte con cui iniziò a scrivere i suoi brani. Dopo la fine dei Sugarcubes nel 1992, Bjork inizia la sua vera carriera solista pubblicando l’anno successivo l’album Debut. Il disco grazie alla capacità di unire il pop con l’allora popolare trip-hop, e alla capacità di scrittura dell’islandese ebbe subito un grande successo, con ritmi e melodie capaci di trascinare e conquistare, con atmosfere fredde ma capaci di improvvise fiammate, come nella splendida e classica “Venus As A Boy”. Da qui in poi l’artista islandese sarà capace di costruire una splendida carriera, tra orchestrazioni a volte troppo invasive ed un sapiente uso dell’elettronica, grazie al suo talento cristallino e alla sua voce meravigliosa, e sarà capace anche di ritagliarsi un’importante carriera di attrice vincendo addirittura la Palma d’Oro e il premio per la miglior attrice al Festival di Cannes 2000, per la sua recitazione in Dancer in the Dark di Lars Von Trier.
Spero abbiate gradito l’atteso restyling del sito (per questo e molto altro, un grazie speciale va sempre a Franz Andreani), che sta sempre migliorando giorno dopo giorno grazie anche alle vostre segnalazioni. A cambiare non è solo la veste grafica, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Tutte le novità le trovate sempre aggiornate in tempo reale sulla nostra pagina Facebook.
Noi ci ritroveremo il 24 novembre con un nuovo episodio di Sounds & Grooves dove sicuramente ascolteremo insieme altre succose novità musicali, come lo splendido nuovo album di Melanie De Biasio, e (tra le altre cose) faremo la conoscenza dei divertentissimi Oh! Gunquit e del graditissimo ritorno degli Audiac.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, anche scrivere critiche (perché no), o proporre nuove storie musicali, mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della stessa PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. SHELLAC: Song Of The Minerals da ‘At Action Park’ (Touch And Go – 1994)
02. YOWIE: Mysterium Tremendum da ‘Synchromysticism’ (Skin Graft Records – 2017)
03. ANT LION: Last Day Of Night da ‘A Common Day Was Born’ (Ibexhouse – 2017)
04. IN ZAIRE: Synchronicity da ‘Visions Of The Age To Come’ (Sound Of Cobra – 2017)
05. BLONDE REDHEAD: Hated Because Of Great Qualities da ‘Melody Of Certain Damaged Lemons’ (Touch And Go – 2000)
06. GOLD DIME: Disinterested da ‘Nerves’ (Firetalk – 2017)
07. LLOYD COLE & THE COMMOTIONS: Forest Fire (BBC Radio 1 Session) da ‘Rattlesnakes’ (Polydor – 1984)
08. BILL CALLAHAN: Spring da ‘Dream River’ (Drag City – 2013)
09. THE MAGNETIC FIELDS: All My Little Words da ‘69 Love Songs’ (Merge Records – 1999)
10. JIM O’ROURKE: Ghost Ship In A Storm da ‘Eureka’ (Domino – 1999)
11. JOHNNY CASH: Down There By The Train da ‘American Recordings’ (American Recordings – 1994)
12. THE BEACH BOYS: God Only Knows da ‘Pet Sounds’ (Capitol Records – 1966)
13. LUCIO BATTISTI: Macchina Del Tempo da ‘Anima Latina’ (Numero Uno – 1974)
14. BJORK: Venus As A Boy da ‘Debut’ (One Little Indian – 1993)