Mentre (giustamente) gli amanti del Paisley Underground esultano per il grande ed inaspettato ritorno dei Dream Syndicate, esce il sesto album in studio di una band italiana che non ha mai fatto mistero di indicare proprio il Paisley come una delle principali ispirazioni. I 2Hurt sono una band capitanata da Paolo Spunk Bertozzi, personaggio di grande importanza per la scena underground romana con i suoi indimenticati Fasten Belt, band di culto tra punk e psichedelia attivissima per un decennio tra il 1985 ed il 1995. Grazie all’incontro con la violinista Laura Senatore, Bertozzi si è saputo reinventare dopo un decennio di silenzio, creando una nuova entità che, pur mantenendo la psichedelia come mood di fondo, andava ad esplorare la musica di frontiera, il folk, il Paisley e l’americana tout court. Nel loro viaggio insieme nel corso degli anni i due hanno fatto salire sul loro polveroso veicolo che macinava chilometri di strade blu molti altri musicisti, fino ad arrivare alla line-up attuale che vede, insieme ai due, la chitarra acustica di Roberto Leone, la batteria di Marco Di Nicolantonio (anche lui presente nel nucleo storico dei Fasten Belt) e il basso di Giancarlo Cherubini. Se nel 2013 Mexico City Blues, era stato un sentito e strumentale omaggio ai viaggi On The Road di Jack Kerouac, il successivo On Bended Knee mostrava un flusso elettrico di enorme intensità emotiva dedicato alla memoria di Claudio Caleno, ex cantante dei Fasten Belt scomparso prematuramente.
Ma torniamo al presente. Il nuovo album esce per la personale etichetta della band, la Lostunes Records, e si intitola Eat My Skin. Il disco parte da un’iconografia molto Grateful Dead per andarsi a posizionare musicalmente sui binari classici della band romana già dall’apertura di “Behind My Dreams”, dove troviamo tutti i tratti distintivi del loro sound: l’inizio sommesso con una semplice linea di basso, la chitarra acustica pronta ad avvolgere, la voce roca, scura, solo apparentemente sconfitta di Bertozzi, un centrale assolo di chitarra estremamente sofferto, e l’innesto dello strabiliante ed inquieto violino di Laura Senatore. E se “Nights Gone Away” è un classico mid-tempo desertico, la seguente “Can’t Tell A Man” si lega a doppio filo con l’album precedente, un treno in corsa dove ancora una volta sono gli intrecci del violino con gli strumenti “classici” del rock a creare il marchio di fabbrica che rende il sound dei 2Hurt perfettamente riconoscibile. Il disco è in perfetto equilibrio tra scosse elettriche e ispirate ballate come la “Life Is Just A Game” dal sapore R.E.M. periodo Automatic For The People. Il primo singolo estratto, “Dark Shadows Fall”, pur utilizzando un canovaccio già usato ed abusato da Neil Young e i suoi Crazy Horse, riesce ad essere piacevolmente trascinante e a suonare originale.
La seconda parte del disco è quella che da maggiormente l’idea di una band che suona in scioltezza, i cinque sono una formazione collaudata e stabile da 6 anni ormai, e il piacere che provano a stare insieme e suonare in rilassatezza senza tensioni è avvertibile. Piacere dimostrato dall’inconsueta (per loro) “Ride My Sheep”, una sorta di gioco, una scatenata giga country-punk un po’ fuori dai loro canoni, ma divertente da suonare, con il curioso titolo suggerito dal loro fonico sardo. In “Crucify Me” la voce di Spunk è come un serpente che si insinua tra i canyons arroventati, manifestando la sua idea personale di ballata desertica psichedelica e passionale. “This Bird Is Me” è un unicum nella loro storia, suonata ed interpretata dal solo Spunk, al basso, slide e pedal steel. Forse un segnale di una voglia di fare qualcosa in solitaria, come lui stesso ha ammesso: “Materiale nuovo già ne ho. Vedremo se lo condividerò con la band o se farò tutto da solo”. “Point of View” è un brano estremamente arioso, scritto dal chitarrista acustico Roberto Leone che si diletta anche alla slide, lasciando a Bertozzi il gusto di suonare la pedal steel e di “sporcare” l’atmosfera con i suoi feedback. L’onore di chiudere le danze spetta ad un’altra ballata intitolata “All Over Now” che evoca il fantasma dei Dirty Three trasportato dall’oceano al deserto, dove il violino della Senatore lascia cadere con rara maestria una cascata di corde come pioggia battente. Si può essere anche derivativi, ma alla fine è la scrittura fa la differenza, e quella della band romana rimane sempre ispirata.
Ancora una volta i 2Hurt sono riusciti a tirar fuori un album di grande rock italiano, anche se profondamente intriso di umori americani, l’ennesimo disco suonato con passione, sangue e sudore da un gruppo di grande spessore e talento che, forse, fa uscire l’album della completa maturità. E’ un peccato che non siano ancora conosciuti come sicuramente meriterebbero.