Non c’è niente da fare: devo avere un debole per i songwriters riservati, timidi, ipersensibili, personaggi come Tim Buckley nel passato, oppure come Elliott Smith,Daniel Johnston e Vic Chesnutt nel presente.
Ho sempre avuto una passionaccia anche per le copertine apribili, evocative, siano esse composte da fotografie o da disegni. Le due cose combinate insieme mi hanno portato a quest’album, a questo cantautore (termine che ho sempre odiato perché mi ricorda quelli, spesso terrificanti, di casa nostra) inglese. Nicholas Rodney Drake, nasce a Rangoon, in Birmania il 19 Giugno del 1948, 2 anni dopo il papà, che lavorava presso la Bombay Burmah Trading Corporation, fa ritorno in inghilterra e si stabilisce nel piccolo villaggio di Tanworth-in-Arden, pochi chilometri a sud di Birmingham. A 20 anni abbandona progressivamente il prestigioso Fitzwilliam College di Cambridge per dedicarsi quasi esclusivamente alla chitarra acustica e alle sue canzoni.
Un suo concerto in un locale di Camden Town a Londra come supporto di Country Joe And The Fish cambia per sempre la sua vita. Tra il pubblico è presente Ashley Hutchings, bassista dei Fairport Convention, che, colpito dal talento del giovane Drake, lo segnala a Joe Boyd, influente manager del gruppo folk. Questo avrà un duplice effetto: un contratto con la nota etichetta Island Records, ed un rapporto molto stretto con lo stesso Boyd che diventerà presto il suo mentore nonostante l’enorme differenza caratteriale tra i due. Tanto Boyd è spigliato e carismatico quanto Drake è timido e riservato. Praticamente nessuna intervista (Drake ne rilasciò solo una, alla rivista Sounds, dopo l’uscita di Bryter Layter nel 1971), nessuna promozione.
Il suo album di esordio si intitola Five Leaves Left, ed esce il 1 Settembre del 1969, seguito poco più di un anno dopo, il 1 novembre 1970, da Bryter Layter. In questi due dischi Drake viene accompagnato dal meglio dei musicisti folk e non solo: Dave Pegg, Dave Mattacks, Richard Thompson dei Fairport Convention, Danny Thompson e John Cale tanto per citarne alcuni. Gli arrangiamenti sono del suo amico ed ex compagno di università Robert Kirby. La scrittura del giovane è già matura, i collaboratori perfetti, la sua malinconia in musica terribilmente affascinante. I risultati commerciali sono però al di sotto delle aspettative anche se il riscontro degli addetti ai lavori è più che positivo. Il carattere introverso di Drake si evidenzia soprattutto in concerto, dove sembra spesso quasi un pesce fuor d’acqua, infastidito dal vociare della platea tanto da reagire spesso in modo arrogante ed antipatico.
L’insuccesso commerciale dei suoi dischi e l’abbandono da parte del suo mentore Joe Boyd, che torna negli Stati Uniti per lavorare con la Warner Bros, hanno un effetto devastante sulla sua psiche insieme all’uso massiccio di antidepressivi e droghe. Il fondatore della Island Records, Chris Blackwell, cerca di risollevare il morale e la psiche dell’allora ventitreene Drake, dandogli le chiavi della sua villa in Costa del Sol, e sperando che lo splendido clima del sud della Spagna potesse in qualche modo rigenerarlo. Proprio ad Algeciras, Drake progetta il suo nuovo lavoro, che purtroppo sarà anche l’ultimo. Un lavoro spoglio, asciutto, crudo, 11 brevi brani che vedono protagonisti solo chitarra e voce eccetto un’overdub di piano nella title track, per una mezz’ora scarsa di musica. Pink Moon viene registrato in sole due session notturne dall’unico collaboratore di fiducia rimasto, l’ingegnere del suono e produttore John Wood, l’album è tanto breve quanto intenso, specchio di un’anima ormai sull’orlo dell’abisso, che cerca disperatamente equilibrio e luce. La (splendida) illustrazione di copertina è di Micheal Trevithick, all’epoca compagno della sorella di Nick Drake, Gabrielle, un’illustrazione tanto surreale quanto affascinante, perfetto contraltare della musica spettrale, ridotta all’osso ma carica come non mai di emozioni. Anche il titolo dell’album non è stato scelto a caso. La luna rosa nella cultura cinese è infatti presagio di sventure, ed il testo della title track che apre l’album (ed appare in bella mostra anche nell’artwork) recita così:
“L’ho visto scritto e l’ho visto dire. La luna rosa è sulla sua strada. Nessuno di voi rimarrà così in alto. La luna rosa vi prenderà tutti. Ed è una luna rosa”
Il testo, abbastanza strampalato così come l’immagine di copertina, contrasta con la chitarra dolce e gli accordi di pianoforte. Lo stesso contrasto che alberga in una psiche che cerca a tutti i costi il consenso del grande pubblico ma allo stesso tempo ne è spaventato. Tanto è caldo il suono della sua chitarra quanto deve essere stato freddo il buio dentro di lui. Uno sforzo enorme di mettersi a nudo sperando e dicendosi che…si….questa volta sarà la volta buona. In “Place To Be” il flusso di ricordi muove le dita sulla sua fida chitarra Guild, la stessa che campeggia sulla copertina di Bryter Layter, e evoca la sua amata famiglia che nonostante tutto gli era sempre stata vicina e lo aveva abbracciato con calore, cantando con quel suo tono spettrale e malinconico:
“Ed io ero verde, più verde della collina, dove i fiori crescevano ed il sole brillava ancora. Ora io sono più scuro del mare più profondo, solo un indumento dismesso, dammi un posto dove stare”
Poi con “Road” indica un itinerario a se stesso:
“Tu puoi dire che il sole sta brillando se davvero lo vuoi, io posso vedere la luna e sembra così chiara. Tu puoi prendere la strada che ti porta verso le stelle adesso. Io posso prendere una strada che mi guarderà attraverso”
In “Which Will” invece chiede ad un’ipotetica persona:
“Chi sceglierai ora se non scegli me?”
La domanda si perde nel buio. “Horn” è uno strumentale ridotto all’osso, mentre la prima facciata del disco viene chiusa dal capolavoro nel capolavoro: “Things Behind The Sun”, dove Drake ci/si mette in guardia dalle persone che promettono senza mantenere, dagli approfittatori, dagli arroganti, dagli opportunisti, il brano più lungo e compiuto dell’intero lavoro. La seconda facciata si apre con il prewar-blues di “Know”, e continua con “Parasite” dove chissà se le scarpe lucide che continua a guardarsi mentre naviga giù per la nera Northern Line londinese sono le stesse del dipinto di copertina. In “Free Ride” ci chiede un passaggio gratis mentre in “Harvest Breed” prevede la sua veloce caduta:
“Cadendo veloce e cadendo libero cerchi di trovare un amico, cadendo veloce e cadendo libero questa potrebbe essere la fine. Cadendo veloce ti pieghi a toccare e baciare il fiore che si piega. E sei pronto adesso, per la produzione del raccolto”
E’ lo stesso Drake il fiore che si sta piegando e che nessuno, purtroppo, riuscirà a toccare facendolo tornare in tutta la sua bellezza. L’ultimo brano “From The Morning” è romantico, sereno e disteso:
“E adesso ci alziamo e siamo ovunque, e adesso ci solleviamo dalla terra, e la vediamo volare, e lei è ovunque, guarda come vola tutto intorno, così guarda bene i panorami, le notti d’estate senza fine e vai a giocare il gioco che hai imparato, dal mattino”
Era il freddo autunno del 1974, Pink Moon era uscito nel febbraio di due anni prima e naturalmente non aveva avuto il successo sperato, spingendo Drake nella depressione più nera. Il songwriter aveva cercato di scrivere e registrare nuove canzoni ma il risultato era stato pietoso come lo stato in cui si era ridotto, spingendolo a tornare nella casa dei genitori, a Tanworth-in-Arden nel Warwickshire, sud-est di Birmingham. Proprio in quella casa, il mattino del 25 novembre, la madre lo trovò riverso sul pavimento: un’overdose di antidepressivi gli era stata fatale. La sorella Gabrielle a proposito della morte del fratello ha detto:
“Non credo che Nick volesse uccidersi, credo che le cose siano andate più o meno così: Nick ha vuotato la boccetta di pillole nella sua mano e se le è messe in bocca dicendo a se stesso: ‘al diavolo, se muoio pace, se non muoio da domani sarà tutto diverso’”
Pink Moon è rimasto il suo meraviglioso, disperato e struggente epitaffio sonoro. Paradossalmente, come spesso accade, Drake trovò postumo quel successo generale di critica e pubblico che non ebbe mai in vita. Chissà, se Pink Moon avesse avuto all’epoca il meritato successo, magari sarebbe cambiata la storia di questo meraviglioso ed ipersensibile autore. Il suo modo particolare di accordare diversamente la chitarra ad ogni brano, lo ha reso anche strumentista di culto per chiunque voglia approfondire lo studio della chitarra acustica. La musica era il solo mezzo che aveva per comunicare le sue emozioni, i suoi 3 album sono il mezzo migliore per riscoprirlo nel suo tanto incredibile quanto incompreso (all’epoca) talento.
PINK MOON (1972 – Island Records)
1. Pink Moon 2:06
2. Place To Be 2:42
3. Road 2:02
4. Which Will 2:58
5. Horn 1:23
6. Things Behind The Sun 3:56
7. Know 2:24
8. Parasite 3:36
9. Free Ride 3:04
10. Harvest Breed 1:34
11. From The Morning 2:30