Ammetto la mia perversa debolezza nell’amare gli artisti particolarmente schivi, timidi ed estranei al grande pubblico. Nel 1994 la fragilità e allo stesso tempo la forza di Lisa Germano mi ha definitivamente conquistato.
“Geek The Girl” era un disco straordinario, dove i brividi esistenziali della donna protagonista del concept non potevano non conquistare con la loro malinconia, con i piccoli momenti scintillanti di vita dove speranza e delusione sembravano unirsi in un mix agrodolce dal sapore unico. La cantautrice dell’Indiana, nata musicalmente come violinista al seguito di John Mellencamp, torna dopo quattro anni di silenzio, abbandonando la Young God di Michael Gira ma mantenendo la sua linea intimista e timida, con il suono che spesso si svuota anche delle alchimie sonore del fido Jamie Candiloro lasciandola sola con il suo pianoforte.
C’è tutto il microcosmo dell’artista nei testi che non sono, forse, mai stati così personali. Indagando sul rapporto con la natura e con gli animali, sul suo rapporto con se stessa in un mondo che, come lei stessa dice sul suo sito ufficiale presentando il disco nuovo, “is getting weirder everyday”. E questo nuovo e ritrovato vigore lirico ci riporta proprio ai suoi capolavori usciti negli anni 90.
In questo “No Elephants” ci sono 12 miniature, 12 carillon, 12 case delle bambole ricche di particolari anche se, come detto, è il pianoforte a farla da padrone insieme alla voce spesso sussurrata, ma sempre evocativa. Ad un attento ascolto però, si scorge dietro tutto un microcosmo sonoro, molto più suono che strumenti. Ci sono molte registrazioni di versi di animali, messaggi lanciati per cercare di ristabilire un equilibrio del mondo con la natura che sembra ormai essersi definitivamente incrinato. C’è la piccola grande magia di “Back to Earth” con una specie di melodia da cellulare che parte in loop, seguita da un hi-hat e chitarra trattata, come una luce splendente dentro una minuscola scatola impolverata.
C’è il filo di archi in equilibrio di “A Feast”, ci sono le interferenze di un cellulare che ritornano, insieme alla chitarra spagnoleggiante e naturalmente al ronzare di uno sciame di api, nell’altro strumentale “Dance of The Bees”, a dimostrare una volta di più di quanto ci intromettiamo malamente nei semplici e perfetti meccanismi del mondo animale. Ed ancora la meraviglia incantata ed incantatrice di “Diamonds”, e lo stesso suono che introduceva “Back to Earth”, ma più acuto, torna insieme ad un cinguettare di uccelli ed al canto timido e malinconico di Lisa lasciandoci con il piccolo grande capolavoro incantato di “Strange Bird”.
Un disco se volete controcorrente, di un’artista che si mostra fieramente fragile, meravigliosamente ispirata, coerentemente matura. Un capolavoro timido, e allo stesso tempo ricco di magia e di nostalgia. Non fatevelo scappare.