Ecco il quindicesimo podcast di Sounds & Grooves per la 19° stagione di RadioRock.TO The Original
In questa avventura in musica troverete molte novità estremamente interessanti
A pensarci è incredibile che siano passati 19 anni da quando questa folle ma fantastica avventura chiamata Radiorock.to The Original è iniziata. Folle perché ormai la parola podcast è entrata di diritto nel lessico comune e sono migliaia i podcast musicali, di attualità o di qualsiasi altro argomento a disposizione di chiunque. Ma diciannove anni fa è stata una vera e propria scommessa di un manipolo di matti inebriati dalla passione per la musica e dalla volontà di rendere facilmente fruibile un palinsesto che potesse parlare prevalentemente di rock senza disdegnare una panoramica sulla musica di qualità a 360 gradi. La nostra motivazione è stata quella di dare un segnale di continuità con quella meravigliosa radio del passato che molti custodiscono nel cuore e a cui ho provato a dare un piccolo contributo dal 1991 al 2000. Tra il 1996 ed il 2000 molti di noi hanno lasciato progressivamente la radio in FM al suo destino ma l’idea non poteva essere replicata nell’etere visti i costi e la situazione legislativa dell’FM dell’epoca,. Fortunatamente però la passione e la voglia di fare radio e di ascoltare e condividere musica di qualità, nonostante tutto, non ci è mai passata.
Questa creatura continua orgogliosamente a remare controcorrente, cercando quella libertà in musica che nell’etere è ormai diventata una mosca bianca, ed esprimendo con forza la passione per la condivisione, per la ricerca, per l’approfondimento. Non dobbiamo aderire ad una cieca linea editoriale che ormai spinge esclusivamente il pulsante play dei servizi di streaming, ma ci lasciamo guidare semplicemente dal nostro cuore e dalla nostra passione. Fulvio Savagnone, Marco Artico, Giampiero Crisanti, Franz Andreani, Flavia Cardinali, Francesco Cauli, Ivan Di Maro, Massimo Santori aka Moonchild ed io proveremo ogni giorno a coinvolgervi con i nostri podcast regolari e con le rubriche tematiche di approfondimento, sperando di farvi sentire sempre di più parte di questa fantastica avventura.
In questo quindicesimo episodio stagionale troverete la consueta alternanza tra novità, capolavori della storia del rock e dischi/artisti da riscoprire. Tra gli altri ci sarà un gruppo importante per la nascita dello shoegaze come i My Bloody Valentine, i trascinanti DER, un ricordo degli irregolari del grunge Mad Season, un piccolo viaggio in Italia con la psichedelia degli In Zaire e tantissime novità tra cui il ritorno della follia dei Tropical Fuck Storm, la potenza dei The Men e l’oscurità intrigante Haley Fohr aka Circuit Des Yeux. Tra le novità troverete anche songwriter straordinari come lo stravagante menestrello Richard Dawson ed il più allineato Will Stratton capace di un nuovo grande album e un chitarrista incredibile come David Grubbs al suo primo lavoro solista (e interamente strumentale) dopo molti anni. Ci sarà spazio anche per una piccola parentesi al femminile con Gold Dime e la straordinaria Sara Ardizzoni aka Dagger Moth. A completare il tutto ecco lo stoner degli Earth (con il compianto Mark Lanegan) e le melodie sghembe e commoventi di Daniel Blumberg fresco di Oscar. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
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Iniziamo il podcast con una band che si è saputa ritagliare un posto importante nella storia del rock degli ultimi decenni. I My Bloody Valentine nacquero a Dublino nel 1983 per volere del chitarrista Kevin Shields, ed abbandonarono presto le suggestioni dark per approdare su altri lidi e creare un muro di feedback tanto forte quanto trascendente, e facendo di fatto nascere il genere shoegaze, così chiamato per la particolarità dei musicisti a guardare dal vivo più la pedaliera degli strumenti che il pubblico in sala. Shields, insieme al batterista Colm O’Ciosoig, trova la quadratura del cerchio con l’inserimento in formazione di Bilinda Butcher (chitarra e voce) e Debbie Googe (basso) e pubblicando a fine 1988 Isn’t Anything, esordio devastante nel proporre le coordinate sonore emotive e stordenti che saranno il loro marchio di fabbrica.
Tre anni dopo il loro secondo lavoro in studio, Loveless, renderà immortale il loro modus operandi, fatto di sovrapposizioni di suono, voci fluttuanti, innesti elettronici e distorsioni oniriche. In realtà proprio questa ricerca della perfezione sonora farà in modo che Shields chiami una quantità infinita di tecnici del suono facendo levitare il costo totale della registrazione del disco a circa 250.000 sterline. Proprio per l’impennata dei costi di produzione, oltre che per il continuo rinvio della consegna, il comportamento imprevedibile di Shields e lo scarso successo commerciale, i rapporti fra i My Bloody Valentine e la Creation Records si andarono deteriorando, costringendo la band a firmare per un’altra etichetta, la Island Records, che però di fatto non riuscì a pubblicare nulla visto che il terzo lavoro della band uscirà solo nel 2013. Loveless è considerato (a ragione) un vero capolavoro ed uno degli album più importanti degli anni ’90, lavoro qui rappresentato dalla splendida “Only Shallow” con le impennate taglienti delle tastiere a squarciare ripetutamente il muro di feedback creato da un gruppo che all’epoca ha davvero tentato (riuscendoci) di imboccare una strada nuova.

Olivier Lambin aka RED è un artista francese originario di Lille attivo da oltre un ventennio. Tra album autoprodotti e altri progetti, Red ha spalmato tutto il suo amore per il songwriting (Dylan e Cohen), il rock blues classico (Rolling Stones) e la nuova passione per il funk espressa in un progetto chiamato Bodybeat. Misconosciuto ma appassionato, Lambin nel corso del 2022 è tornato guardando il suo nickname allo specchio e reinventandosi come DER. Durante gli ultimi due anni, la presbiopia ha innervosito il nostro eroe, che ha deciso di cambiare strumento ed imbracciare il basso solo perché ha tasti più grandi e meno corde! Assoldata una nuova formazione che comprende due batteristi, Néman (Zombie Zombie, Herman Düne) e DDDxie (The Shoes, Rocky, Gumm), più Jex, alias Jérôme Excoffier, il suo complice di sempre, che ha ancora una vista eccellente e che ha suonato tutte le chitarre dell’album, i quattro sono entrati in studio.
Il risultato è un disco intitolato Supersound, pubblicato dalla etichetta Bisou Records a marzo 2022. L’album è estremamente fresco e ben suonato, spavaldo e tagliente nel suo incedere energico tra garage rock, post-punk e ritmi funkeggianti. 12 canzoni registrate quasi in presa diretta. Magari non è l’album consigliato se cercate nuove avventure in musica, ma se siete allineati su certe (immortali) traiettorie è un disco estremamente gratificante e coinvolgente come dimostra la “Ready To Founce” inserita nel podcast.

Nel 2013 Claudio Rocchetti, Stefano Pilia, Ricky Biondetti e Alessandro De Zan ci avevano piacevolmente sconvolto con un album fantastico uscito a nome In Zaire ed intitolato White Sun Black Sun prima di immergersi di nuovo nei loro mille progetti diversi. Claudio Rocchetti e Stefano Pilia hanno fatto parte degli indimenticati 3/4HadBeenEliminated per poi passare nel caso di Rocchetti principalmente alla carriera solista tra ambient e noise, mentre Pilia, da annoverare senza dubbio tra i migliori chitarristi italiani, fa parte della nuova formazione degli Afterhours, ha formato un trio con Andrea Belfi e il grande Mike Watt chiamato Il Sogno del Marinaio, ed è entrato in pianta stabile ad arricchire anche la formazione dei Massimo Volume.
Non bastasse, nel 2020 ha pubblicato un album solista, Blind Sun New Century Christology, pubblicato dalla Sound of Cobra, etichetta fondata proprio dal batterista degli In Zaire, Ricky Biondetti. Visions of the Age to Come è un altro disco enorme, che mostra un’evoluzione stilistica rispetto al disco precedente. Ci sono cose nuove, stili e generi diversi. La band si è avvicinata di più alla forma canzone senza per questo rinunciare alla loro grande voglia di sperimentare. La voce ha una sua parte importante anche se non centrale, e i quattro hanno un modo unico di presentare la loro personale forma di rock psichedelico mescolato al kraut-rock, al metal, alla musica nera africana e addirittura alla new wave come si può leggere talvolta tra le righe. Ascoltate “Revelations” e perdetevi tra le note di quella che è senza dubbio una delle migliori band italiane in senso assoluto.

Abbiamo già avuto a che fare con l’australiano Gareth Liddiard, che, con i suoi The Drones, aveva deliziato i nostri padiglioni auricolari con la giusta miscela di psichedelia, folk e blues deviato. Il cantante-chitarrista di Melbourne, insieme alla sodale Fiona Kitschin, nel 2017 ha abbandonato la vecchia ragione sociale, prendendo a bordo la batterista Lauren Hammel e la polistrumentista Erica Dunn e creando una nuova entità chiamata Tropical Fuck Storm. La nuova creatura si è mossa da subito senza impacci, partendo dal DNA della band precedente e arricchendolo di imprevedibili soluzioni sonore di follia visionaria, coerenti con la personalità del suo leader. Definiti da qualcuno “maestri del noise senza confini”, gli australiani hanno annunciano l’uscita del loro quarto album Fairyland Codex anticipando il primo singolo estratto intitolato “Bloodsport”. Il disco verrà pubblicato il 20 giugno dalla loro nuova etichetta, la Fire Records, dopo avere letteralmente bruciato le tappe con i primi tre album per Joyful Noise, arrivati fino al #7 della TOP10 australiana.
Ho quindi inserito subito nel podcast il primo estratto dal disco in uscita tra un mese. “Bloodsport” è carico di un’anarchia sociale ben studiata, caratterizzato da un funk in stile Talking Heads e da un break di chitarra incalzante. Erica Dunn ha provato a raccontare il brano così: “Un canto di incitamento a tutte le molecole danzanti rimaste sul pianeta Terra a fare i loro sforzi e a salire sul ring per qualcosa di più coraggioso di una lotta a mani nude; un controllo del proprio destino. Un inno di resistenza per tutti coloro che hanno ancora un cuore pulsante, per scrollarsi di dosso il torpore sociale e il dominio da cortile, per guardare in faccia l’orologio della realtà prima di essere costretti a mangiare avanzi di Levi’s come se fossero cereali in una scodella di toner per stampanti e succo d’orango.” Pochi dubbi sulla qualità di un gruppo straordinario.

Il 14 Marzo 1995, ben 30 anni fa, veniva pubblicato Above, album a nome Mad Season, una sorta di supergruppo che comprendeva alcuni musicisti di gruppi già affermati nel calderone del grunge. Durante la produzione di Vitalogy nel 1994, il chitarrista dei Pearl Jam, Mike McCready entrò in riabilitazione per disintossicarsi da alcool e droga presso la Hazelden Clinic in Minnesota, dove incontrò il bassista John Baker Saunders, che all’epoca collaborava con alcuni chitarristi blues. Non appena tornati a Seattle, formarono una band collaterale con Barrett Martin, il batterista degli Screaming Trees, componendo la musica per due brani che sarebbero poi diventati “Wake Up” e “River of Deceit”. McCready si è rivolto all’amico Layne Staley, il vocalist degli Alice in Chains, per completare la line-up. In cuor suo McCready sperava che inserito in un contesto circondato da musicisti sobri avrebbe spinto Staley finalmente a disintossicarsi dall’eroina.
Il gruppo iniziò ad esibirsi al Crocodile Cafe di Seattle sotto il nome di The Gacy Bunch, riscuotendo grande successo. Visto il riscontro notevole delle performance dal vivo nel circuito underground, il gruppo decise di cambiare nome adottando quello di Mad Season, riferendosi al termine inglese riguardante il periodo dell’anno in cui i funghi allucinogeni sono in piena fioritura e che McCready era solito definire “la stagione del consumo di alcool e droghe”. Il passo successivo fu quello della registrazione di un disco, che vide anche la partecipazione di Mark Lanegan, il cantante degli Screaming Trees. Mike McCready ha dichiarato: “Abbiamo registrato tutta la musica dei Mad Season in circa sette giorni, Layne in pochi giorni ha registrato le sue tracce vocali, è stato tutto molto intenso visto che abbiamo provato solo due volte e fatto quattro concerti.” Il disco è davvero interessante perché esce fortunatamente dai cliché del grunge per andare a recuperare radici blues e psichedeliche con un insieme più scuro e sperimentale anche se sempre estremamente accessibile come la “River Of Deceit” inserita nel podcast. I Mad Season erano stati progettati anche come band di “recupero”, e se musicalmente hanno funzionato egregiamente, come mezzo di disintossicazione, purtroppo, non è andata bene. John Baker Saunders, dopo alcuni anni nei The Walkabouts, è morto per un’overdose di eroina nel 1999, mentre Layne Stayley ci ha lasciati per la stessa ragione solo tre anni più tardi. Del gruppo ci restano solo Above (recentemente ristampato in doppio album con inediti sia nel 2013 per il RSD che nel 2025) e un live registrato al Moore Theater di Seattle nel 1995 e pubblicato nel 2015.

Parliamo adesso di chitarre sfavillanti e di rock senza troppi fronzoli, spostandoci a Brooklyn, New York, dove nel 2008 Nick Chiericozzi (voce, chitarra e sax) e Mark Perro (voce, chitarra e tastiere), insieme al bassista Chris Hansell hanno formato un gruppo chiamato The Men pubblicando a stretto giro di posta due album, Immaculada e Leave Home che mostrano una notevole ispirazione ed energia abrasiva noise-rock portandoli alla firma con un’etichetta importante come la Sacred Bones. Nel 2012 Hansell ha lasciato il gruppo e il terzo lavoro in studio, Open Your Heart, mostrava un gruppo che iniziava a cambiare le carte in tavola, incorporando nel proprio suono strutture più accessibili, surf rock e country. Un anno più tardi con New Moon, il gruppo ha portato a compimento la sua curiosa mutazione genetica, ripulendo quasi completamente il suono dalle scorie noise-rock degli esordi.
A distanza di qualche anno, il gruppo non accenna assolutamente a fermarsi. Il quartetto ha appena pubblicato Buyer Beware, il loro quindicesimo album in studio, il quarto inciso per l’etichetta londinese Fuzz Club Records. Perro e Chiericozzi, insieme ai fidi Rich Samis (batteria) e Kevin Faulkner (basso) hanno ormai trovato la quadratura del cerchio in una scrittura garage-rock asciutta e urgente, grazie anche alla collaborazione con il produttore e ingegnere degli Serious Business Studios Travis Harrison (Guided by Voices, Built to Spill), capace di rendere nei solchi l’energia live del gruppo, come dimostra la diretta e tirata “Charm” inserita in scaletta.

Dylan Carlson, ormai 11 anni fa, aveva ideato e realizzato il nuovo lavoro degli Earth, due anni dopo la conclusione della saga Angels Of Darkness, Demons Of Light, in un luogo importante per la musica stoner: il famoso studio chiamato Rancho De La Luna presso il Parco Nazionale di Joshua Tree in California dove sono state registrate le famose Desert Session di Josh Homme. Mettendo la puntina su Primitive And Deadly tutto sembrava andare seguendo il copione classico del gruppo di Seattle: la chitarra di Dylan Carlson, la batteria di Adrienne Davies ed il basso di Bill Herzog scavavano lentamente e in maniera circolare intorno ai riff di base, mentre la ritmica non faceva mai calare la tensione rendendo il tutto più ipnotico che adrenalinico.
Ascoltando a fondo il tutto, però c’era qualcosa che non girava come sempre (nell’accezione buona del termine…), un elemento nuovo sembrava uscire fuori, anzi, per essere più precisi c’era qualcosa che tornava a casa: quelle scintille hard e heavy che non ascoltavamo più da un bel po’ di tempo, scintille che riuscivano, alzando le fiamme, a generare paesaggi immaginari. In più, dopo poco più di un minuto della seconda traccia “There Is A Serpent Coming”, ecco arrivare una novità davvero inaspettata: mentre le solite trame doom sembravano farsi più profonde e dilatate entrava in scena una voce maschile, e non una voce qualunque, bensì quella di un compianto artista di cui abbiamo già parlato in precedenza, quel Mark Lanegan che è riuscito a condurre il brano da par suo con il suo timbro profondo, rendendo completa la visionaria unione tra doom e blues.

Avevamo lasciato Haley Fohr, cantautrice dell’Indiana ma residente a Chicago, più conosciuta con lo pseudonimo di Circuit Des Yeux, alle prese con l’oscurità e la paura post pandemia di -io nel 2021. Ha realizzato album acclamati dalla critica, improvvisazioni free-form, pittura, installazioni audiovisive e composizioni per grandi ensemble. Si è esibita in una camera anecoica (una stanza senza eco), ha scritto per un coro di bambini di 50 elementi e si è tuffata da un tetto (sotto la supervisione di uno stunt-coordinator). La realizzazione del nuovo Halo On The Inside ha comportato numerosi cambiamenti nei metodi operativi tipici della Fohr. Per tutta la durata della stesura, l’artista ha vissuto da sola, recandosi nel suo studio sotterraneo dalle 21 alle 5 del mattino per liberare la mente, la voce e le mani.
Ma la Fohr non ha mai vissuto questa esperienza come triste ed isolante. Per lei la notte si è trasformata in una sorta di spazio tranquillo per un’esplorazione disinibita. Si è lasciata andare a strumenti sconosciuti, muovendosi tra pedali e sintetizzatori, trovando “gioco e melodia attraverso il malfunzionamento del software e il feedback”. Dopo essersi riappropriata del rapporto con la solitudine, la cantautrice ha sviluppato un grande interesse per il personaggio di Pan, il mitologico suonatore di flauto, metà capra e metà uomo che ha trasformato anche la sua immagine in copertina. La sua storia di trasformazione, melodia, fertilità e infine morte è servita come quadro d’atmosfera per i momenti più intensi e dell’album come la “Organ Bed” inserita nel podcast “Attraverso il processo di creazione di questa musica sono stata in grado di riavvolgere me stessa a un tempo precedente alla paura. E nell’assenza di paura ho trovato il ritmo intimo del sesso, dell’amore e della melodia”.

Torno dopo un po’ di tempo a parlare di una delle eroine attuali della scena art-noise di New York. Circa otto anni fa la cantante / batterista / songwriter Andrya Ambro è tornata ad incidere musica dopo l’esperienza Talk Normal con un nuovo progetto chiamato Gold Dime. La musicista con la sua nuova ragione sociale aveva deciso di portare avanti il discorso portato avanti con Sarah Register nell’esperienza Talk Normal. Con questo nuovo progetto è però riuscita a ridurre l’aggressività della proposta aumentandone l’approccio scuro ed industriale. Il disco di esordio della nuova ragione sociale era uscito nel 2017 e si intitolava Nerves (leggi la recensione).
Come fa intuire il titolo, erano proprio le terminazioni nervose a fare da scheletro ad otto tracce intime ed aggressive che si muovono in maniera oscura. Il drumming sembra essere sempre sul punto di esplodere, mentre intrusioni elettroniche e scudisciate chitarristiche sanno come far male viaggiando perennemente sospese sul filo del rasoio. Il brano che ho scelto per il podcast si intitola “Rock”, a tratti addirittura melodico con la voce della Ambro a farsi sempre più potente e suggestiva, Il suono sembra apparentemente accessibile, ma in profondità si rivela assai minaccioso. Il suo ossessivo ritmo di basso, i vocalizzi art rock della leader e le rasoiate di chitarra, ne minano la struttura dalle fondamenta.

Torniamo nella nostra disastrata penisola per trovare una talentuosa cantautrice e chitarrista italiana. Sara Ardizzoni, collaboratrice di Cesare Basile e chitarrista dei Massimo Volume dopo l’abbandono di Stefano Pilia, è attiva da due lustri sotto il nome di Dagger Moth, con cui esplora le pieghe tra melodia e noise, tra caos e struttura, tra suoni elettronici e la sua sei corde. Già sei anni fa il suo secondo lavoro solista Silk Around The Marrow, con le collaborazioni di Marc Ribot e Antonio Gramentieri (Sacri Cuori, Don Antonio), aveva colpito per intensità e raffinatezza, portando Dagger Moth a suonare un po’ ovunque: club, festival, piccoli bar, teatri, musei, giardini e anche come opening act per artisti come Marc Ribot, Shannon Wright, Fennesz, Mike Watt, Peter Hook, Pumajaw, Keziah Jones, Sam Amidon, Marlene Kuntz, Hugo Race, Perturbazione, East Rodeo.
Il suo ultimo album, uscito nel 2022, prende il nome di “The Sun Is A Violent Place”, disco che, come dichiara la stessa Ardizzoni “ha iniziato a prendere vita nel 2020, durante quella che per tutti è stata una pausa forzata e surreale. Proprio quel misto di stati d’animo, altalenante fra incredulità, alienazione, angoscia strisciante e sospensione, si è fissato indelebilmente fra suoni e parole. Un coro di sensazioni che trovo ancora ancora tristemente attuale, visto il periodo storico assurdo che stiamo vivendo”. L’album è stato registrato tra le mura domestiche e vede il contributo di Fabrizio Baioni (batterista per Pierpaolo Capovilla e i Cattivi Maestri, Leda, Cirro, Circo El Grito) ai beats su tre degli otto brani. Il mix è stato finalizzato a distanza fra Ferrara e Berlino con Victor Van Vugt (già collaboratore in studio di Nick Cave, PJ Harvey, Beth Orton e molti altri). Il risultato è un disco intenso, scuro, dove veniamo condotti dall’elettronica e dalla chitarra di Dagger Moth ora nell’oscurità, ora alla luce, in un alternanza di sensazioni ed emozioni forti e contrastanti. Ascoltate “Afloat” per credere e magari acquistate il disco sulla sua pagina Bandcamp.

Richard Dawson è un artista che appartiene ad una categoria molto particolare e quasi in via di estinzione, quella dei songwriters un po’ stralunati, poco convenzionali. Basti pensare ad un Richard Youngs, o ad un Kevin Coyne, senza voler scomodare l’enorme talento di Kevin Ayers (Dawson potrebbe montarsi la testa), tanto per farvi capire come poter inquadrare un personaggio come il chitarrista di stanza a Newcastle Upon Tyne. A tre anni di distanza dal suo ultimo album in studio, Dawson ha pubblicato il 14 febbraio 2025 il suo nuovo End Of The Middle. Sebbene il songwriter non sia nuovo a grandi idee musicali, sia che abbia aperto il suo album del 2022 The Ruby Cord con un brano di 41 minuti, sia che abbia scritto canzoni epiche in collaborazione con il gruppo rock sperimentale finlandese Circle, anche stavolta ha cercato in qualche modo di stupire.
In questo nuovo album Dawson cerca di ridimensionare tutto alla pura essenza, componendo una raccolta di canzoni che ricordano il fortunato Peasant. End Of The Middle è riccamente intricato, evocativo, tattile e ha quasi la capacità di trasportarvi nei luoghi e negli scenari che descrive. In parte ispirato dal suo amore per i film del regista giapponese Yasujirō Ozu, l’album è incentrato su un nucleo familiare. “Si tratta di uno sguardo ravvicinato che cerca di esplorare la tipica casa di una famiglia della classe media inglese”, dice Dawson. “Ascoltiamo le storie di persone appartenenti a tre o quattro generazioni della stessa famiglia. Ma in realtà si tratta di capire come rompere certi cicli. Penso che la famiglia sia una metafora utile per esaminare come le cose si trasmettono generazionalmente”. La “More Than Real” che chiude il suo ultimo lavoro è una ballata di una bellezza onirica, cesellata dalla voce dell’ospite e coautrice del brano Sally Pilkington.

Restiamo in ambientazione cantautorale ma ci spostiamo dall’ombrosa e nuvolosa Newcastle all’assolata California. Will Stratton nasce come pianista, chitarrista e compositore. Il suo primo album, What The Night Said, è stato registrato nel 2005, l’estate successiva al suo diploma di scuola superiore, ed è stato successivamente pubblicato nel 2007. Tra l’altro nel suo esordio suona anche Sufjan Stevens, citato spesso come fonte di ispirazione insieme a Nick Drake per il suo gusto compositivo. Approdato qualche anno fa alla Bella Union, Stratton ha appena pubblicato il suo ottavo album in studio (terzo per l’etichetta inglese fondata nel 1997 da Simon Raymonde e Robin Guthrie dei Cocteau Twins. Registrato tra il 2021 e il 2024, Points Of Origin è incentrato sui temi della California, del disastro climatico e dell’alienazione generazionale.
Le 10 tracce di cui è composto l’album riguardano le vite di diversi californiani, legati da coincidenze e dagli incendi che incontrano nell’arco di quattro decenni. Al centro ci sono due fratelli che, una volta scappati, vivono vite parallele: uno finisce nella parte più settentrionale dello Stato, alla base meridionale delle Cascades, e l’altro trova la strada da una prigione di Stato a combattere un incendio sulle colline di Santa Barbara. C’è il laureando che, in fuga da forze reali o immaginarie, trova lavoro presso il servizio forestale come guardia antincendio vicino allo Yosemite, e il frequentatore di bar che ricorda il periodo trascorso in un bar in una zona rurale della East Bay, un luogo in cui ha conosciuto molte delle altre persone che raccontano queste canzoni e l’anonimo osservatore del fumo degli incendi lungo la Central Valley raccontato con maestria grazie alla sua voce calda e al sax di Justin Keller nella “Bardo Or Heaven?” inserita nel podcast. Storie di varia umanità che si intrecciano a creare uno splendido album.

Non servirà probabilmente a farlo arrivare alle orecchie del grande pubblico, ma l’Oscar per la migliore colonna sonora assegnato a Daniel Blumberg per il film The Brutalist (il regista David Corbet ha affidato i suoni del suo film a lui dopo la morte del suo compositore abituale Scott Walker), ha avuto almeno il merito di far arrivare il suo nome e la sua musica ad un pubblico molto più ampio. Daniel Blumberg è un musicista londinese, tanto irrequieto da nascondersi dietro una sfilza di nomi come Cajun Dance, Hebronix, Oupa, o Heb-Hex. Non contento ha anche creato una band estremamente interessante chiamata Yuck, con cui ha pubblicato 3 album tra il 2011 ed il 2016. Durante il 2012, Blumberg insieme a Ute Kanngiesser (violoncello), Tom Wheatley (contrabbasso) e Billy Steiger (violino), ha dato vita ad una residency molto interessante presso un locale famoso per le sue jam session di improvvisazione jazz, il Cafe OTO di Londra.
Insieme ai suoi fidati musicisti, Blumberg è andato in Galles a registrare il suo album di esordio come solista. Minus è un album crudo, dolente, a tratti straziante, sincero, suonato con passione. Solo in una traccia (i 12 minuti di “Madder”), i musicisti si lasciano andare ad un’improvvisazione free-form, nelle altre 6 canzoni è la poetica, il romanticismo a volte doloroso, la fragilità emotiva ad avere la meglio, come in “Stacked”. Un disco che vede la presenza di Jim White, batterista dei Dirty Three, e in certi frangenti è come se la musica dolente del trio australiano abbia trovato una voce in grado di esprimere quelle atmosfere malinconiche. Un album entrato in moltissime playlist di fine anno, un disco dell’anima impreziosito dalle illustrazioni create dallo stesso songwriter il cui ultimo lavoro prima della colonna sonora che gli è valso l’Oscar è stato Gut, uscito nel 2023.

Abbiamo parlato più di una volta su queste pagine degli Squirrel Bait e della loro importanza. Dalle loro ceneri si sono formati gruppi fondamentali per lo sviluppo del rock alternativo americano degli anni ’90. Dopo la repentina chiusura di quel progetto, David Grubbs e Clark Johnson, hanno creato una nuova band chiamata Bastro con cui proseguire il loro percorso musicale. Insieme a loro c’era anche John McEntire, futuro fulcro percussivo e non solo dei Tortoise. Quella scena, come abbiamo detto, era estremamente ribollente ed era naturale per i musicisti non rimanere in pianta stabile in una band ma collaborare in altre situazioni sonore adiacenti. Grubbs abbandonerà il progetto Bastro, collaborando prima con Bitch Magnet e Codeine e per poi formare, insieme al bassista Bundy K. Brown, il suo progetto più sperimentale, i Gastr Del Sol, che diventerà un duo insieme a Jim O’Rourke.
Parallelamente Grubbs ha iniziato un saltuario percorso solista che lo ha portato a dipanarsi nei diversi stili di cui è costellata la sua carriera globale. Il suo singolare timbro chitarristico ha accompagnato moltissimi artisti: Richard Buckner, Tony Conrad, The Red Krayola, Royal Trux, Dirty Three, Edith Frost, Mats Gustafsson, Susan Howe, Will Oldham, Stefano Pilia, Taku Unami, The Underflow, Ryley Walker, Jan St. Werner e molti altri. Alla fine del percorso, Grubbs è approdato al suo primo album solista interamente strumentale dopo 8 anni di silenzio. Whistle From Above è appena uscito per la benemerita Drag City, e non avrei potuto trovare brano migliore per chiudere il podcast come questa “Queen’s Side Eye” che vede l’apporto del nostro Andrea Belfi alle percussioni e della tromba di Nate Wooley. Un disco complesso ma mai ostico, in cui l’autore e i suoi collaboratori scelti interagiscono tra il costante scorrere di un paesaggio esteso basato sull’ipnosi dello stile chitarristico immediatamente riconoscibile di Grubbs.
Un grazie speciale va, come sempre, a Franz Andreani per la sua passione, la gestione di questa banda di pazzi e per la splendida riorganizzazione del sito già attiva da qualche anno. A cambiare non è stata solo la versione grafica del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Sulla nostra pagina Facebook troverete quotidianamente ogni upload del sito e, ormai da tempo, è attivo anche lo splendido canale YouTube della Radio, una nuova formula senza interruzioni ne spot per ascoltare la vostra-nostra musica preferita. Iscrivetevi numerosi, vi aspettiamo!
Nel prossimo episodio troverete la consueta alternanza tra novità, capolavori della storia del rock e dischi/artisti da riscoprire. Nella prima parte, introdotto dall’adrenalinico punk rimodellato dei Refused, troverete una sorta di viaggio nel tempo tra alcune delle voci più creative che animavano il mondo musicale dopo il punk e agli albori degli anni ’80 come The Clash, Mark Stewart, Gang Of Four, The Slits, XTC e Stiff Little Fingers. Nella seconda parte, introdotta dall’eccellente sinergia tra il compianto Vic Chesnutt, Elf Power e The Amorphous Strums, troverete il folk distopico di Me Lost Me, quello sognante di Weyes Blood e le suggestioni retropop dei Vanishing Twin prima di un finale che vede il ritorno delle amate sonorità Sarah Records dei Trembling Blue Stars e le melodie minimali e sognanti dei Galaxie 500 e Blonde Redhead.
Il tutto sarà, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Per suggerimenti e proposte, scrivetemi senza problemi all’indirizzo e-mail stefano@stefanosantoni14.it.
Potete ascoltare o scaricare il podcast anche dal sito di Radio Rock The Original cliccando sulla barra qui sotto.
Buon Ascolto
TRACKLIST
1. MY BLOODY VALENTINE: Only Shallow da ‘Loveless’ (1991 – Creation Records)
2. DER: Ready To Founce da ‘Supersound’ (2022 – Bisou Records)
3. IN ZAIRE: Revelations da ‘Visions Of The Age To Come’ (2017 – Sound Of Cobra)
4. TROPICAL FUCK STORM: Bloodsport da ‘Fairyland Codex’ (2025 – Fire Records)
5. MAD SEASON: River Of Deceit da ‘Above’ (1995 – Columbia)
6. THE MEN: Charm da ‘Buyer Beware’ (2025 – Fuzz Club Records)
7. EARTH: There Is A Serpent Coming da ‘Primitive And Deadly’ (2014 – Southern Lord)
8. CIRCUIT DES YEUX: Organ Bed da ‘Halo On The Inside’ (2025 – Matador)
9. GOLD DIME: Rock da ‘Nerves’ (2017 – Fire Talk)
10. DAGGER MOTH: Afloat da ‘The Sun Is A Violent Place’ (2022 – Autoproduzione)
11. RICHARD DAWSON: More Than Real da ‘End Of The Middle’ (2025 – Weird World)
12. WILL STRATTON: Bardo Or Heaven da ‘Points Of Origin’ (2025 – Bella Union)
13. DANIEL BLUMBERG: Stacked da ‘Minus’ (2018 – Mute)
14. DAVID GRUBBS: Queen’s Side Eye da ‘Whistle From Above’ (2025 – Drag City)