Ecco il’ottavo podcast di Sounds & Grooves per la 19° stagione di RadioRock.TO The Original
Nell’ultima avventura in musica del 2024 troverete molte novità e alcune meraviglie assortite
A pensarci è incredibile che siano passati 19 anni da quando questa folle ma fantastica avventura chiamata Radiorock.to The Original è iniziata. Folle perché ormai la parola podcast è entrata di diritto nel lessico comune e sono migliaia i podcast musicali, di attualità o di qualsiasi altro argomento a disposizione di chiunque. Ma diciannove anni fa è stata una vera e propria scommessa di un manipolo di matti inebriati dalla passione per la musica e dalla volontà di rendere facilmente fruibile un palinsesto che potesse parlare prevalentemente di rock senza disdegnare una panoramica sulla musica di qualità a 360 gradi. La nostra motivazione è stata quella di dare un segnale di continuità con quella meravigliosa radio del passato che molti custodiscono nel cuore e a cui ho provato a dare un piccolo contributo dal 1991 al 2000. Tra il 1996 ed il 2000 molti di noi hanno lasciato progressivamente la radio in FM al suo destino ma l’idea non poteva essere replicata nell’etere visti i costi e la situazione legislativa dell’FM dell’epoca,. Fortunatamente però la passione e la voglia di fare radio e di ascoltare e condividere musica di qualità, nonostante tutto, non ci è mai passata.
Questa creatura continua orgogliosamente a remare controcorrente, cercando quella libertà in musica che nell’etere è ormai diventata una mosca bianca, ed esprimendo con forza la passione per la condivisione, per la ricerca, per l’approfondimento. Non dobbiamo aderire ad una cieca linea editoriale che ormai spinge esclusivamente il pulsante play dei servizi di streaming, ma ci lasciamo guidare semplicemente dal nostro cuore e dalla nostra passione. Fulvio Savagnone, Marco Artico, Giampiero Crisanti, Franz Andreani, Flavia Cardinali, Francesco Cauli, Ivan Di Maro, Massimo Santori aka Moonchild ed io proveremo ogni giorno a coinvolgervi con i nostri podcast regolari e con le rubriche tematiche di approfondimento, sperando di farvi sentire sempre di più parte di questa fantastica avventura.
In questo ottavo episodio stagionale ripeschiamo una session live di un gruppo britannico importante come i Television Personalities, ritroviamo il genio psichedelico di Syd Barrett, ascoltiamo le storie degli American Music Club e l’incompiuto potenziale dei The Sleepers. Ci sono anche molti album di rilievo usciti nell’anno che sta per finire: il rock psichedelico mediorientale tra Grecia e Turchia dei trascinanti Buzz’ Ayaz, il folk contaminato di post-rock degli Ugly (subito dopo aver riascoltato i caleidoscopici amici Black Country, New Road), le suggestioni cinematiche dei Dead Bandit (dopo le antiche meraviglie dei Disco Inferno), il grande ritorno della coppia Gillian Welch & David Rawlings, una Ani DiFranco in gran spolvero dopo la cura BJ Burton e la sinergia di pop alternativo tra Caroline Shaw e il collettivo Sō Percussion. C’è anche l’album della svolta dei Wilco ed il gran finale appannaggio delle meraviglie ritmiche di John Colpitts aka Kid Millions (negli Oneida) dietro al nome di Man Forever. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Seguite il nostro hashtag: #everydaypodcast
Download, listen, enjoy!!!
Prima di partire con questo viaggio in musica potete effettuare il download del podcast anche nella versione a 320 kb/s semplicemente cliccando sul banner qui sotto.

Iniziamo il podcast con un gruppo che (mea culpa) ho passato troppo poco in precedenza. I Television Personalities sono un gruppo inglese che è riuscito ad influenzare profondamente il panorama musicale indie e alternative pop. Fondata nel 1977 dal carismatico e enigmatico frontman Dan Treacy, la band si distingue per un mix di sonorità jangly, testi ironici e profondamente personali, e un’attitudine lo-fi che li ha resi una delle formazioni più iconiche della scena post-punk e indie pop. Soprattutto la loro capacità di unire psichedelia e post-punk con un approccio indipendente li ha resi fondamentali ed estremamente influenti, un modello per le futire generazioni di musicisti indie. Nonostante i cambiamenti di formazione e le difficoltà personali affrontate da Treacy, la band ha continuato a produrre musica innovativa nel corso dei decenni.
A gennaio 2025 la Fire Records celebrerà i primi anni di vita del gruppo pubblicando Tune In, Turn On, Drop Out – Radio Sessions 1980-1993. Questa nuova raccolta mette insieme le classiche sessioni radiofoniche dei maestri del post-punk e dell’indie pop indipendente. Con due sessioni della BBC degli anni ’80 trasmesse da John Peel e Andy Kershaw e un rarissimo set WMBR del 1992, questo doppio album contiene cover di Buzzcocks, The Raincoats e Daniel Johnston con brani inediti e una sessione WFMU del 1993 come bonus. Proprio dalla rara session del 1992 ho voluto condividere con voi la trascinante “Three Wishes”. Anche se il loro successo commerciale è stato limitato, il loro impatto culturale e musicale è innegabile. I Television Personalities rimangono un simbolo di autenticità e creatività nell’universo musicale.

Continuiamo il nostro viaggio in musica con una mente tanto creativa quanto, purtroppo, instabile. Un artista che ha sempre camminato sul sottile confine tra genio e follia. Syd Barrett è stato l’anima dei primi Pink Floyd, quelli legati alla prima psichedelia britannica, quelli che amavano giocare e sperimentare facendo incredibili viaggi nella mente tra droghe e allucinazioni. Barrett era riuscito a creare un mondo di enorme fascino prima di venire risucchiato dalle sue stesse visioni e dipendenze che lo fecero abbandonare la band per ritirarsi ad un progressivo totale isolamento fino alla morte avvenuta nel 2006. Prima di lasciarsi andare, il suo genio era riuscito fortunatamente a tirare fuori due splendidi album solisti.
Dopo il suo allontanamento dalla band nel 1968 a causa di problemi di salute mentale e abuso di sostanze, Barrett intraprese una breve ma intensa carriera solista che ha lasciato un segno indelebile nella storia del rock psichedelico pubblicando nel gennaio 1970 The Madcap Laughs. Il disco è un viaggio nel mondo unico di Barrett, fatto di melodie surreali, testi evocativi e strutture musicali volutamente irregolari. Brani come “Terrapin” mostrano il suo talento per la creazione di paesaggi sonori poetici e imprevedibili. La produzione fu travagliata, con diversi collaboratori, tra cui la coppia David Gilmour e Roger Waters (cosa che al giorno d’oggi fa abbastanza sorridere), e produttori come Peter Jenner. Il disco (come il successivo Barrett) rimane un documento cruciale per comprendere l’evoluzione artistica di un genio creativo che non ha saputo affrontare i propri demoni.

Mark Eitzel ha fondato gli American Music Club nel 1983 a San Francisco insieme al chitarrista Scott Alexander, al batterista Greg Bonnell ed al bassista Brad Johnson. La formazione della band venne stravolta prima dell’esordio del 1985 The Restless Stranger. Insieme al leader troviamo infatti la chitarra di Mark “Vudi” Pankler, il basso di Danny Pearson, le tastiere di Brad Johnson e la batteria di Matt Norelli. I primi due album degli American Music Club mostrano l’inquietudine del leader, un poeta i cui versi ci conducono in un viaggio interiore fatto di tormenti, di piccole scoperte, di letti disfatti, di grandi sconfitte e piccole vittorie. Il loro universo musicale parte da una solida impostazione folk-rock che riesce ad assecondare al meglio le visioni create dal malessere esistenziale di Eitzel, sia nella ballate più psichedeliche sia nei brani più tirati.
San Francisco, pubblicato nel 1994, è il loro settimo album in studio, un disco che in qualche modo rappresenta un punto di svolta e, allo stesso tempo, un addio temporaneo per la band, che si sciolse poco dopo la sua uscita. Nei solchi troviamo brani malinconici e riflessivi, che raccontano le complessità della vita urbana e dell’amore con un tono crudo e profondamente umano. “It’s Your Birthday” è uno dei brani più tirati e cinematici di un album splendido che non ebbe il successo commerciale sperato, complice la sua natura introspettiva e la difficoltà di essere inquadrato nei canoni del mainstream. Successivamente, per fortuna, l’album è stato rivalutato come una delle loro opere più rappresentative e mature, un ritratto autentico e senza filtri di un gruppo che non ha mai compromesso la propria visione artistica.

Adesso andiamo a trovare una band molto particolare che è riuscita ad incidere un solo album. The Sleepers si formano a Palo Alto nel 1977, una delle prime punk band californiane. Il chitarrista Michael Belfer e il suo amico batterista Tim Mooney formano il primo nucleo della band, chiamando Ricky Williams, ex batterista dei Crime, come cantante. Le liriche di Williams non erano propriamente indimenticabili e venivano anche spesso dimenticate on stage, ma il cantante compensava questa mancanza con una capacità di improvvisazione incredibile che lo portavano a istrioniche e incontrollabili performance. Dopo la pubblicazione di un 7″ il gruppo si sciolse alla fine del 1978, Belfer si unì ai Tuxedomoon e Williams riuscì nell’impresa di fondare i seminali Flipper e ad essere cacciato dalla band prima di incidere alcunché.
Nel 1980, i The Sleepers ci riprovano con una nuova line-up che comprendeva Brian MacLeod (batteria), Ron MacLeod (basso), Michael Belfer e Mike White (chitarre). La nuova formazione riuscì ad incidere un singolo e un intero album, Painless Nights, dove l’approccio era meno incalzante e violento ma più scuro e psichedelico come dimostra la splendida “When Can I Fly?” inserita in scaletta. Dopo l’ennesimo episodio di violenza onstage mostrato da Williams e causato dagli abusi di sostanze stupefacenti, il gruppo si sciolse definitivamente. Williams fece parte dei Toiling Midgets insieme a Tim Mooney, ma la sua indole autodistruttiva lo portò a morire per overdose di eroina nel 1992 a soli 37 anni.

In attesa dei due podcast che racconteranno il 2024 in musica per Sounds And Grooves, volevo condividere l’esordio di un gruppo che non è entrato nella mia personale Top 30 ma che ho trovato tanto interessante da arrivare proprio a ridosso dei migliori album dell’anno. Cipro è una destinazione di vacanza per persone provenienti da tutta Europa, un’isola soleggiata e dal mare blu nel Mediterraneo orientale con una storia antica e orgogliosa. Ma è anche un’isola divisa, con tensioni politiche di lunga data tra la popolazione greco-cipriota e quella turca. Eppure, inevitabilmente in un piccolo luogo, le due culture si intrecciano. Camminando per le strade di Nicosia, la capitale divisa, si può ascoltare il rembetiko greco accanto al pop turco, la psichedelia anatolica accanto al rock occidentale.
In questa realtà divisa, i Buzz’ Ayaz sono una realtà che vuole creare un varco importante tra i muri di cemento, il filo spinato e i posti di blocco. I membri del quartetto vengono da entrambe le parti della capitale e il loro suono vuole intrecciare tutte le influenze che si ascoltano per i vicoli della capitale. Una direzione precisa quella voluta dal leader Antonis Antoniou (Monsieur Doumani) che, innamorato del suono dei Morphine, ha voluto ricreare una situazione simile con il clarinetto basso elettrificato di Will Scott, inglese ormai residente a Cipro, al posto del sax baritono. Il risultato è un album di debutto autointitolato in cui i quattro creano una sorta di affascinante psichedelia orientale mediterranea, un paesaggio sonoro urbano con un organo anni ’70, strumenti folk amplificati, ritmi rituali e melodismo greco e anatolico. Ascoltate la trascinante “Arkos” per credere.

Questa nuova ondata di post-punk proveniente dalla Gran Bretagna sta raccogliendo allo stesso tempo consensi e critiche. Ad onor del vero la stessa etichetta post-punk la trovo davvero fuori luogo, una sorta di calderone dove viene messo tutto ed il contrario di tutto. Tra le band più interessanti ci sono sicuramente i Black Country, New Road, gruppo londinese formato originariamente da Isaac Wood (voce e chitarra), Georgia Ellery (violino), Lewis Evans (flauto, sax e voce), Tyler Hyde (basso), May Kershaw (tastiere e voce), Charlie Wayne (batteria) e Luke Mark (chitarra). Dopo due singoli pubblicati nel 2019, l’interesse verso il collettivo britannico era esponenzialmente aumentato, portando un’altra etichetta non certo rock come la Ninja Tune a metterli sotto contratto. L’album For The First Time è uscito nel febbraio 2021, con due nuove tracce a completare le quattro già uscite nei due anni precedenti ma qui completamente ri-registrate.
“Athens, France” è uno dei brani usciti nel 2019, che mostra la bravura dei sette musicisti nel destreggiarsi tra post-rock e jazz (violino e sax sono importanti tanto quanto chitarra e basso), e nel maneggiare perfettamente la tensione in notevoli saliscendi emotivi. Quattro giorni prima dell’uscita del loro secondo album Ants From Up There, Wood ha lasciato la band, adducendo problemi di salute mentale. In ogni caso anche il secondo album ha avuto un grande successo di critica e commerciale, debuttando al #3 della UK Albums Chart comparendo in diverse liste di album di fine anno. Dopo la partenza di Wood, la band ha iniziato immediatamente a lavorare su nuovo materiale, con Hyde, Evans e Kershaw a dividersi le parti vocali principali. Georgia Ellery insieme a Taylor Skye ha dato vita anche al progetto Jockstrap.

Il podcast prosegue con un gruppo che ha condiviso spesso e volentieri palco e retropalco proprio con gli appena citati Black Country, New Road. Gli Ugly hanno effettivamente più di qualcosa in comune con i più famosi londinesi. Anche loro sono una band assolutamente corposa, composta da sei elementi e con una predilezione per le armonie vocali elaborate e una struttura compositiva ambiziosa. Sam Goater (chitarra e voce), Harrison Jones (chitarra), Tom Lane (synth e voce) Harry Shapiro (basso), Jasmine Miller-Sauchella – tastiere e voce e Theo Guttenplan (batteria), si sono formati a Cambridge nel 2016.
Il progetto, nato come sfogo solista di Sam Goater, si è via via arricchito di nuove sonorità e nuovi compagni di avventura, passando da un approccio rock spigoloso a una sorta di post-rock contaminato dal folk, con le voci che si susseguono e accavallano in una spirale avvolgente. Il tour con i più famosi compagni di avventura ha ampliato la loro visibilità, ed il risultato è stata la pubblicazione di Twice Around The Sun, EP che arriva dopo ben otto anni di lavoro e che vede al suo interno alcuni singoli già pubblicati e riarrangiati per l’occasione, come la splendida e vorticosa “I’m Happy You’re Here” inserita in scaletta.

In qualche modo hanno pagato forse la non appartenenza al “giro” Too Pure, fondamentale per capire l’istanza post-rock che circolava in Gran Bretagna in quel meraviglioso e creativo inizio di anni ’90. Non saprei altrimenti come giustificare l’assenza dei Disco Inferno da alcuni testi che narrano la storia di quel movimento musicale. O forse il nome che evocava in qualche modo la disco music e i balli sfrenati del sabato sera…chissà. Fatto sta che i Disco Inferno sono stati una band cardine del post-rock britannico. Formati nel 1989 nel nord-est londinese dai giovani Ian Crause (chitarra e voce), Paul Willmott (basso), Daniel Gish (tastiere) e Rob Whatley (batteria), diventano quasi subito un trio visto che Gish lascerà la band per unirsi ad un’altro dei gruppi fondamentali in quel periodo, i Bark Psychosis.
E se all’inizio il loro suono mostra come influenze marcate il post-punk o la new-wave di gruppi come Wire o Joy Division, Ian Crause poco dopo ammaliato da nuove modalità musicali come il sampling, o da nuove tendenze come lo shoegazing, decide di cambiare rotta. Ma i My Bloody Valentine o i Massive Attack, più che influenze strettamente musicali, servirono al trio per capire che avevano davanti una strada aperta a nuove possibilità, un foglio di carta bianco senza limiti. Il loro secondo album, D.I. Go Pop del 1994 mostra l’abilità della band di ricreare i loro strumenti con vari samplers, trovando un’unione con il mondo intorno a loro unendo alla loro musica vari field recordings. Una miscela quasi impensabile prima, tra strumenti, samplers, traffico stradale, uccellini che cantano, vento, e acqua. Ascoltate per credere la splendida “Starbound: All Burnt Out & Nowhere To Go” . Purtroppo il trio si scioglierà dopo poco, ma i Disco Inferno restano come una delle pagine più creative e sperimentali di quegli anni.

Torniamo ai giorni nostri con un duo formato dal cantautore di Chicago Ellis Swan e dal polistrumentista canadese James Schimpl. Loro si fanno chiamare Dead Bandit e già tre anni fa avevano esordito con l’ottimo From The Basement pubblicato dalla Quindi Records dove avevano avuto modo di esprimere la loro attitudine cinematica incline ad un certo atmosferico post-rock. Ad aprile di quest’anno il duo ha pubblicato l’atteso seguito Memory Thirteen, sempre per la splendida etichetta fiorentina. Il disco si mostra subito più pensato e più coeso del pur ottimo predecessore..
Le 13 tracce mantengono la stessa attitudine dell’esordio, ampliandone l’intensità con una base eterea e malinconica su cui si innestano paesaggi sonori di southern gothic, suggestioni di colonne sonore, paesaggi desertici e shoegaze, senza mai snaturarsi ma, al contrario, andando a creare atmosfere sonore personali ed intriganti. Uno dei dischi più affascinanti dell’anno, una sorta di racconto sonoro diviso in parti tra luci più vivide e crepuscolo, tra sogno ed incubo, come dimostra la splendida “Peel Me An Orange” inserita nel podcast.

I Wilco, arrivati lo scorso anno al considerevole traguardo del 13° album in studio con l’ottimo Cousin, sono senza ombra di dubbio uno dei gruppi più importanti del panorama musicale contemporaneo. Yankee Hotel Foxtrot non è stato solo semplicemente il loro quarto album in studio, ma il vero punto di svolta della loro carriera. E dire che la gestazione era stata a dir poco complessa. Già pronto nel 2001, in realtà la data di pubblicazione venne rimandata a causa del rifiuto della Reprise, loro etichetta dell’epoca, di distribuirlo in quanto considerato poco commerciale. La band non si perse d’animo e prima di rompere il contratto per passare alla Nonesuch (che lo pubblicherà l’anno dopo) decise di divulgare l’album gratuitamente sul proprio sito internet.
Paradossalmente rimane tutt’ora l’album più venduto dei Wilco, con oltre 500.000 copie nei soli Stati Uniti, ed è l’ultimo inciso con il multi-strumentista Jay Bennett (morirà nel 2009 per un’overdose accidentale di ansiolitici), ed il primo con Glenn Kotche dietro ai tamburi. L’album è importante anche per la produzione di Jim O’Rourke, e per l’inserimento nel corpo della tradizione del folk/rock americano, di elementi di “disturbo” come rumori digitali e arrangiamenti sghembi e dissonanti che rimarranno come caratteristica della band di americana più importante dell’ultimo ventennio. “Pot Kettle Black” è uno dei brani più trascinanti e gettonati del disco, e la perfetta dimostrazione del cambio di marcia impostato dalla band formata dall’ex Uncle Tupelo Jeff Tweedy.

Rimaniamo in ambito “americana” con un duo che ha fatto la storia del genere. Gillian Welsh nasce a New York ma si trasferisce a Los Angeles con i genitori adottivi quando ha solo 3 anni. Già da adolescente le sue preferenze in musica vanno dalle parti di folksingers storici come Woody Guthrie e Bob Dylan prima di trovare la sua strada nello storico Berklee College of Music di Boston dove incontra David Rawlings, con cui inizia una lunga e proficua relazione personale e artistica. Woodland, uscito ad agosto, è solo il secondo album in studio accreditato alla coppia come duo ed è il primo album di materiale originale della Welch da The Harrow & the Harvest del 2011 e di Rawlings da Poor David’s Almanack del 2017; il loro album del 2020 All the Good Times (Are Past & Gone) consisteva interamente di cover.
Il disco prende il nome dai Woodland Sound Studios di Nashville, Tennessee, di cui la Welch e Rawlings erano i proprietari. Gli storici studi creati nel 1967 erano stati acquistati dalla coppia nel 2001 e sono stati distrutti da un tornado nel 2020. Gli artisti hanno dichiarato in un comunicato stampa che le canzoni contenute in Woodland sono “un turbinio di contraddizioni, vuoto, riempimento, gioia, dolore, distruzione [e] continuità”. Come ampiamente prevedibile, non erano da aspettarsi grandi novità, ma il consolidamento della loro scrittura straordinaria. Una classicità folk che vive di tradizione e di arrangiamenti curati e straordinari, come nella splendida “What We Had” che ho deciso di inserire nel podcast.

Ani DiFranco è ormai da trent’anni un’istituzione vera e propria del songwriting al femminile. Icona della ribellione, apertamente bisessuale e femminista, capace di esprimere una straordinaria energia persino da sola con la sua fida chitarra acustica, Ani da Buffalo, New York, è stata capace di raccogliere intorno a se un enorme e fedele seguito senza mai vendere l’anima al music business, ma riuscendo comunque a piazzare milioni di copie fisiche. Ha creato una sua personale etichetta, la Righteous Babe Records, con cui pubblica dischi dal lontano 1990 con un’invidiabile media qualitativa per la prolificità della produzione.
Se Ani nel 1999 era uscita meravigliosamente dai binari della “semplice” militanza folk con l’album To The Teeth che allargava lo spettro sonoro ad altri generi musicali come jazz e funk grazie anche alle collaborazioni di artisti come Prince e Maceo Parker, a fine 2024 ha pubblicato un nuovo lavoro che tenta di ridefinire di nuovo il suo suono. A coadiuvare l’artista di Buffalo nel suo tentativo, fortunatamente riuscito, stavolta c’è il produttore BJ Burton, che, lo ricorderete bene, è stato uno dei responsabili della strepitosa svolta elettronica dei Low. Unprecedented Sh!t è un disco che ce la fa ritrovare quasi in solitaria ma con una chitarra distorta e quasi irriconoscibile, anche se a volte ritroviamo (quasi la DiFranco di un tempo. Il funk irresistibile di “Baby Roe” è una delle splendide tracce di un disco da (ri)scoprire.

Ci avviciniamo alla chiusura del podcast con un album che sono riuscito ad ascoltare quasi in chiusura di classifica, costringendomi a modificarla. Caroline Shaw è una compositrice classica e violinista, capace di diventare la più giovane vincitrice del Premio Pulitzer per la musica nel 2013. Nel 2020 ha iniziato una proficua collaborazione con il quartetto Sō Percussion, composto da Jason Treuting, Adam Sliwinski, Josh Quillen ed Eric Cha-Beach, capace di ridefinire il suono da camera in questo 21° secolo con il loro straordinario talento ed interplay. Il disco che aveva dato il via alla loro collaborazione, Narrow Sea, pubblicato anche insieme a Dawn Upshaw e Gilbert Kalish era stato addirittura capace di vincere un Grammy nel 2020.
Un anno più tardi la Shaw ed il quartetto hanno fatto uscire il loro primo album Let The Soil Play Its Simple Part ed il tour seguente, interrotto dalla pandemia, gli ha permesso di perfezionare il loro modo di lavorare insieme mescolando il songwriting classico della Shaw con le nuove modalità espressive del quartetto. Rectangles and Circumstance, uscito a giugno 2024, è un album splendido tra un cantautorato rigoroso ma mai freddo, riscaldato dalla splendida voce della Shaw, e gli arabeschi sonori creati dal quartetto. I testi, ispirati un gruppo di poesie del diciannovesimo secolo hanno modellato la loro modalità espressiva, come nella bellissima “Sing On” inserita nel podcast.

Chiudiamo il podcast con un artista che ama trasformarsi grazie al suo eclettico e straripante stile batteristico. John Colpitts ogni tanto abbandona momentaneamente il moniker di Kid Millions con cui pesta forte i tamburi degli avant-rockers Oneida andando a vestire i panni di Man Forever. Play What They Want, il suo quarto viaggio in solitaria (leggi la recensione), uscito nel 2017, è uno straordinario mutaforma dalle sfumature cangianti, un luogo dove ci si può smarrire felici anche nei vicoli più stretti, spinti dalla forza propulsiva della sua instancabile e avventurosa batteria.
Inutile dire che il disco è assolutamente consigliato a chi è costantemente alla ricerca di cose nuove, e di suoni inconsueti ed imprevedibili. La splendida “Ten Thousand Things” che chiude l’intero podcast vede una preponderante partecipazione di quel fantastico trio di percussionisti chiamato Tigue (formato Matt Evans, Amy Garapic e Carson Moody) e della misurata ma imprescindibile arpista Mary Lattimore insieme al cantante Nick Hallett, per un magico intreccio di percussioni, voci ed arpa.
Un grazie speciale va, come sempre, a Franz Andreani per la sua passione, la gestione di questa banda di pazzi e per la splendida riorganizzazione del sito già attiva da qualche anno. A cambiare non è stata solo la versione grafica del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Sulla nostra pagina Facebook troverete quotidianamente ogni upload del sito e, ormai da tempo, è attivo anche lo splendido canale YouTube della Radio, una nuova formula senza interruzioni ne spot per ascoltare la vostra-nostra musica preferita. Iscrivetevi numerosi, vi aspettiamo!
Ci risentiamo tra due settimane quando parleremo del genio di Andrea Guerrini in arte Arco, del trascinante post-punk dei dublinesi Sprints e delle cavalcate psichedeliche di Chris Forsyth. Ci sarà spazio anche per ripescare un gruppo di valore assoluto come i Red Red Meat e, accantonando quello che sono diventati adesso, lasciarci trascinare dall’energia potente che animava gli U2 sul palco nei primi anni ’80. Troverete anche qualche album di rilievo usciti nell’anno che si è appena concluso, come l’interessante songwriting della basca Elena Setién, e quello più classico ma affascinante di un’ispirata Jessica Pratt. Ci saranno anche le suggestioni cinematiche degli Yo La Tengo e un tuffo nel denso miscuglio tra hip-hop, psichedelia e ambient di due giganti del genere come cLOUDDEAD e King Midas Sound. in finale di podcast troverete il soul introspettivo di Marvin Gaye e il dialogo sonoro notturno e profondo di tre grandi musicisti come Oren Ambarchi, Johan Berthling e Andreas Werliin..
Il tutto sarà, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Per suggerimenti e proposte, scrivetemi senza problemi all’indirizzo e-mail stefano@stefanosantoni14.it.
Potete ascoltare o scaricare il podcast anche dal sito di Radio Rock The Original cliccando sulla barra qui sotto.
Buon Ascolto
TRACKLIST
01. TELEVISION PERSONALITIES: Three Wishes (WMBR Session 02.04.92) da ‘Tune In, Turn On, Drop Out – Radio Sessions 1980-1993’ (2025 – Fire Records)
02. SYD BARRETT: Terrapin da ‘The Madcap Laughs’ (1970 – Harvest)
03. AMERICAN MUSIC CLUB: It’s Your Birthday da ‘San Francisco’ (1994 – Virgin)
04. THE SLEEPERS: When Can I Fly? da ‘Painless Nights’ (1981 – Adolescent Records)
05. BUZZ’ AYAZ: Arkos da ‘Buzz’ Ayaz’ (2024 – Glitterbeat)
06. BLACK COUNTRY, NEW ROAD: Athens, France da ‘For The First Time’ (2021 – Ninja Tune)
07. UGLY: I’m Happy You’re Here da ‘Twice Around the Sun’ (2024 – The state51 Conspiracy)
08. DISCO INFERNO: Starbound: All Burnt Out & Nowhere To Go da ‘D. I. Go Pop’ (1994 – Rough Trade)
09. DEAD BANDIT: Peel Me An Orange da ‘Memory Thirteen’ (2024 – Quindi Records)
10. WILCO: Pot Kettle Black da ‘Yankee Hotel Foxtrot’ (2002 – Nonesuch)
11. GILLIAN WELCH & DAVID RAWLINGS: What We Had da ‘Woodland’ (2024 – Acony Records)
12. ANI DiFRANCO: Baby Roe da ‘Unprecedented Sh!t’ (2024 – Righteous Babe Records)
13. CAROLINE SHAW, SŌ PERCUSSION: Sing On da ‘Rectangles And Circumstance’ (2024 – Nonesuch)
14. MAN FOREVER: Ten Thousand Things da ‘Play What They Want’ (2017 – Thrill Jockey)
SPOTIFY PLAYLIST
MIXCLOUD
X
l'ottavo episodio di Sounds & Grooves per @RadiorockTO è finalmente disponibile anche da leggere...che aspettate? read, listen, enjoy #podcast #rock #songwriting #postrockhttps://t.co/Qjud1ghLKX
— SoundsAndGrooves (@SoundsGrooves) March 4, 2025