Ecco il sesto podcast di Sounds & Grooves per la 19° stagione di RadioRock.TO The Original
In questa nuova avventura in musica troverete due novità importanti e alcuni splendidi ripescaggi
A pensarci è incredibile che siano passati 19 anni da quando questa folle ma fantastica avventura chiamata Radiorock.to The Original è iniziata. Folle perché ormai la parola podcast è entrata di diritto nel lessico comune e sono migliaia i podcast musicali, di attualità o di qualsiasi altro argomento a disposizione di chiunque. Ma diciannove anni fa è stata una vera e propria scommessa di un manipolo di matti inebriati dalla passione per la musica e dalla volontà di rendere facilmente fruibile un palinsesto che potesse parlare prevalentemente di rock senza disdegnare una panoramica sulla musica di qualità a 360 gradi. La nostra motivazione è stata quella di dare un segnale di continuità con quella meravigliosa radio del passato che molti custodiscono nel cuore e a cui ho provato a dare un piccolo contributo dal 1991 al 2000. Tra il 1996 ed il 2000 molti di noi hanno lasciato progressivamente la radio in FM al suo destino ma l’idea non poteva essere replicata nell’etere visti i costi e la situazione legislativa dell’FM dell’epoca,. Fortunatamente però la passione e la voglia di fare radio e di ascoltare e condividere musica di qualità, nonostante tutto, non ci è mai passata.
Questa creatura continua orgogliosamente a remare controcorrente, cercando quella libertà in musica che nell’etere è ormai diventata una mosca bianca, ed esprimendo con forza la passione per la condivisione, per la ricerca, per l’approfondimento. Non dobbiamo aderire ad una cieca linea editoriale che ormai spinge esclusivamente il pulsante play dei servizi di streaming, ma ci lasciamo guidare semplicemente dal nostro cuore e dalla nostra passione. Fulvio Savagnone, Marco Artico, Giampiero Crisanti, Franz Andreani, Flavia Cardinali, Francesco Cauli, Ivan Di Maro, Massimo Santori aka Moonchild ed io proveremo ogni giorno a coinvolgervi con i nostri podcast regolari e con le rubriche tematiche di approfondimento, sperando di farvi sentire sempre di più parte di questa fantastica avventura.
In questo sesto episodio stagionale parleremo del ritorno delle attesissime ristampe (finalmente) dei The God Machine, ascolteremo la psichedelia dei The Flaming Lips, ripescheremo dall’inizio degli anni 80 due gruppi fondamentali come The Fall e The Teardrop Explodes e ci faremo cullare dai ritmi tribali e sincopati dei Fell Runner. Ascolteremo due novità importanti come il nuovo Peter Perrett e l’esordio da solista per una artista navigata come Kim Deal, ci faremo trasportare nell’oscurità dai The Skull Defekts e nel deserto di frontiera dai Giant Sand. Ci sarà spazio anche per un gruppo di culto come i The Vaselines, per il meltin pot dell’Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp e per una sempre meravigliosa Laura Nyro. Il finale sarà appannaggio di due songwriters non proprio convenzionali come Richard Dawson e Roy Harper. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
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La seducente e scura epicità dei The God Machine rimarrà una pagina meravigliosa e per certi versi irripetibile della storia del rock. La band era composta da Robin Proper-Sheppard (chitarra/voce), Jimmy Fernandez (basso) e Ronald Austin (batteria). Nonostante fossero tutti e tre di San Diego, si trasferirono a Londra dove iniziarono a calpestare i palcoscenici della capitale britannica. La loro visione musicale era potente e scura, sacra e tragica, un crocevia tra post-punk, psichedelia e rock duro. Scenes From The Second Storey è il disco di esordio, pubblicato nel 1993, che mette in chiaro quanto il trio riesca ad essere evocativo e originale nella sua spinta apocalittica. “The Blind Man” è la perfetta apertura di podcast per rappresentare un album ipnotico e ricco di tensioni.
Il secondo One Last Laugh In A Place of Dying ne confermerà e ne consoliderà il talento e la bontà delle soluzioni sonore ma allo stesso tempo sarà purtroppo l’epitaffio sonoro di uno dei gruppi più originali degli anni ’90: subito dopo le registrazioni del disco un aneurisma cerebrale si porterà via il bassista Jimmy Fernandez decretando di fatto la fine della band. Un colpo durissimo soprattutto per l’amico e compagno di avventure Robin Proper-Sheppard. La desolazione e la tristezza per questa perdita verrà in qualche modo messa in musica nel progetto Sophia, un moniker dove poter nascondere la passione del cantante-chitarrista per la tradizione indie-folk e la malinconia di un passato perduto. Incredibile pensare per tanti anni gli album dei God Machine non siano stati ristampati costringendo chi li voleva riscoprire ad effettuare veri e propri salti mortali per reperirli. Finalmente le tanto attese ristampe sono in arrivo, speriamo solo che siano a prezzi umani…
Voi malcapitati che seguite i miei podcast su Radio Rock The Original conoscete bene la mia predilezione per i Flaming Lips da Oklahoma City. Wayne Coyne, Steven Drozd e Michael Ivins non hanno mai smesso di sperimentare, di cambiare pelle, di giocare a modo loro sia con il pentagramma che con tutto quello che gli ruota attorno. Questa è sempre stata (forse) la loro dannazione e (sicuramente) la nostra benedizione. Un calderone istrionico che abbracciava all’inizio la psichedelia pura, ma che non ha mai disdegnato di confrontarsi con diversi altri stili musicali. Dai giochi sul palcoscenico con le mani giganti (recentemente rubate e poi ritrovate), il supermegafono, la bolla di plastica dentro la quale Wayne Coyne si muove sul pubblico, i giochi pirotecnici, i milioni di coriandoli.
Per pio arrivare alle sperimentazioni sul suono stesso della band con i famosi “parking lot experiments”, ovverosia 40 cassette create dal gruppo che dovevano essere suonate contemporaneamente all’interno di un parcheggio. Ultimamente l’ispirazione di Wayne Coyne e compagni sembra leggermente appannata, ma visto quante cose belle ci hanno fatto ascoltare nel corso degli anni direi che possiamo perdonargli un ultimo album non proprio all’altezza. Allora sono voluto tornare indietro fino al 1987, quando usciva il loro secondo album, e primo capolavoro: Oh My Gawd!!!…The Flaming Lips. L’album mostra un’alternanza tra garage e psichedelia, guidata con mani sapienti. Il riff trascinante ed anthemico di “Thanks To You” apre il disco come meglio non si potrebbe, con energia e fantasia, introducendoci nel loro fantastico mondo.
Nel 2012 quattro giovani musicisti incrociano le proprie strade nella prestigiosa CalArts (California Institute of the Arts) seguendo i programmi musicali di jazz e musica africana e mettendo a frutto i loro talenti ed istinti musicali sia individualmente che come quartetto. Steven Van Betten (chitarra e voce), Gregory Uhlmann (chitarra e voce), Patrick Kelly (basso) e Tim Carr (batteria e voce) crescono quindi in un ambiente di grande creatività e libertà espressiva formando i Fell Runner. Il loro album di esordio era arrivato come un lampo proprio mentre stavo compilando la classifica del 2015, sconvolgendola letteralmente.
Uno dei brani più rappresentativi del disco (uscito nella sola versione in CD per la piccola etichetta Orenda Records e acquistabile esclusivamente online qui) è senza dubbio “Better Isn’t Always Better”. Il brano, oltre a colpire per le splendide ritmiche africane, può ricordare qualcosa del variegato percorso Frippiano agli inizi degli anni ’80, tra il ritorno del Re Cremisi e le registrazioni di Remain In Light dei Talking Heads.. La complessità ritmica e compositiva di questo e di molti altri brani, fanno effettivamente ricordare, in maniera semplificata ed smussata, quanto fatto dal 1997 al 2000 dagli Storm&Stress. Il loro essere tanto lineari quanto magicamente sghembi fanno pensare proprio alla svolta sonora dei Wilco descritta in precedenza. Peccato che dopo questo esordio si siano persi per strada.
I The Fall sono stati una delle band di culto e più importanti della scena post-punk britannica, di cui faranno parte band come Joy Division e Buzzocks. Carattere difficile, come dimostrano gli innumerevoli cambiamenti all’interno della band, il leader Mark E. Smith è stato un intellettuale scettico nei confronti dell’arte in generale. La sua musica e le sue liriche erano intense, ripetitive, pervase da uno scuro senso dell’umorismo. Ha guidato il suo gruppo per 40 anni, senza mai avere un successo planetario, ma riscuotendo sempre il favore della critica e del suo fedele seguito di fans.
Smith ci ha lasciato nel gennaio 2018. Ci manca il suo crudo sarcasmo, la sua visione musicale sghemba e affascinante che ha influenzato negli ultimi 40 anni molti gruppi dai Pavement agli LCD Soundsystem. Per ritrovare al meglio la sua visione musicale e la sua lingua tagliente sono tornato indietro al 1980, anno in cui esce Grotesque (After The Gramme). Il terzo album in studio della band, considerato uno dei migliori, è il primo che vede la presenza del batterista Paul Hanley (fratello minore del bassista Steve Hanley), che si era unito ai Fall all’età di 15 anni. Kay Carroll, allora fidanzata del cantante Mark E. Smith e manager della band, suona il kazoo in “New Face In Hell”, uno dei vertici di un album memorabile.
Nel 1976 un diciannovenne Julian Cope approda nel Merseyside venendo subito coinvolto nella nascente scena post-punk di Liverpool. Il suo primo gruppo furono i Crucial Three dove suonava il basso in compagna di Ian McCulloch e Pete Wylie. Ma I continui contrasti tra Cope e McCulloch portano quest’ultimo a lasciare la band molto presto, per poi formare gli Echo and the Bunnymen. Nel frattempo, Cope aveva stretto amicizia con il batterista di Liverpool Gary “Rocky” Dwyer e gli aveva suggerito un nuovo nome per la band: The Teardrop Explodes, tratto da una didascalia del fumetto Marvel Daredevil. Julian Cope diventò bassista e cantante, mentre il gruppo prese forma con l’ingresso di David Balfe al piano e tastiere (poi fondatore delle due etichette Zoo Records e Food Records) e Mick Finkler alla chitarra.
Dopo aver pubblicato un primo singolo nel 1979, il gruppo nell’estate del 1980 iniziò a registrare il loro album di debutto, Kilimanjaro, presso i Rockfield Studios nel Monmouthshire. Ma non tutto andò nel verso giusto, visto il licenziamento di Finkler a metà registrazioni e l’ingresso di Alan Gill a completare l’opera. In ogni caso il disco non solo ebbe un discreto successo non solo di pubblico (#24 nelle classifiche britanniche), ma anche di critica, vista la miscela esplosiva di new wave e psichedelia. Un suono ipnotico, dissonante e melodico allo stesso tempo, come dimostra la “When I Dream” inserita nel podcast. I Teardrop Explodes ebbero vita breve, solo due album e mezzo, ma Julian Cope iniziò una lunga e fortunata carriera solista.
La Scandinavia negli ultimi anni è stata davvero generosa nel fornire input musicali straordinari. Gli Skull Defekts sono stati a lungo la spina dorsale dell’underground sperimentale svedese, già dal loro esordio nel 2005, proiettandosi da subito come avanguardia di una nuova ondata di musica rock radicale nella scena scandinava. Nel 2018, purtroppo, il gruppo capitanato da Joachim Nordwall (bassista e fondatore della iDEAL records) è arrivato a fine corsa dopo una carriera di grande qualità musicale ed onestà artistica. Quattro anni prima, il gruppo aveva dato alle stampe l’ottimo Dances In Dreams Of The Known Unknown, secondo lavoro pubblicato dall’etichetta Thrill Jockey.
Un muro di suono creato dal basso di Nordwall, dalla batteria ottundente di Henrik Rylander, dall’elettronica di Jean-Louis Huhta, dalla chitarra e dal synth di Daniel Fagerström e dalla voce (per l’ultima volta) del cantante Daniel Higgs, frontman dei Lungfish che era entrato nella band quasi in pianta stabile. Le loro ballate oscure e tribali sono sempre incredibilmente coinvolgenti, percussive, ottundenti nel loro approccio industriale, come nell’apertura di “Pattern Of Thoughts”. Un gruppo che personalmente mi mancherà moltissimo.
Nati a Tucson, Arizona a metà degli anni ’80, i Giant Sand nati nel periodo del Paisley Underground, si muovevano in un territorio sonoro sempre più rivolto verso il country folk. Nel corso dei quasi 40 anni di storia della sigla, Howe Gelb ha riunito intorno a se moltissimi musicisti fino alla line-up attuale che vede Gelb insieme a musicisti danesi. La sua visione permeata dalla tipica visione psichedelica, ha via via acquistato diversi altri elementi tra cui il country e la musica di frontiera. Nel 1996 la sezione ritmica del gruppo formata da Joey Burns e John Convertino, ha voluto esplorare soprattutto quest’ultima parte formando i Calexico.
Dieci anni dopo il loro capolavoro Swerve, all’alba del nuovo millennio, Gelb insieme ai vecchi compagni di avventura e ad una pletora di nuovi collaboratori e ospiti tra cui John Parish e Juliana Hatfield, pubblicano Chore Of Enchantment, tuttora considerato uno dei capolavori della band. Registrato tra Tucson, Memphis e New York, il disco riesce ad unire tutte le anime dei Giant Sand, tra folk, blues e country, riuscendo allo stesso tempo a suonare coeso. Per il podcast ho scelto una sognante ballata come la splendida “No Reply”
Per la fortunata serie “Dischi che non mi ricordavo di avere” ci dirigiamo verso Glasgow per trovare un gruppo dalla storia incredibile. Nel 1986 Eugene Kelly and Frances McKee decidono di formare un gruppo dopo aver scartato l’idea di creare una fanzine. A Stephen Pastel dei The Pastels, che produrrà per la sua etichetta il loro primo EP, si deve l’ideazione del nome The Vaselines. Il loro secondo EP, Dying For It EP, pubblicato all’inizio del 1988 contiene una canzone intitolata “Jesus Wants Me for a Sunbeam”. Nel giugno 1989 pubblicano il loro primo album, Dum-Dum, ma la band si scioglierà poco dopo l’uscita del disco, a causa della fine della relazione sentimentale tra Kelly e McKee. Si riformeranno brevemente nell’ottobre 1990 per aprire il concerto dei Nirvana in occasione di una loro esibizione a Edimburgo.
Sebbene non fossero molto conosciuti al di fuori della Scozia durante la loro breve carriera, la loro associazione con i Nirvana portò visibilità alla band. Kurt Cobain una volta descrisse Kelly e McKee come i suoi “cantautori preferiti” inserendo le loro “Son of a Gun” e “Molly’s Lips” nell’album Incesticide e “Jesus Doesn’t Want Me for a Sunbeam” nel celebre MTV Unplugged in New York. Ma anche questo non portò fortuna ai due, visto che di fatto The Vaselines tornarono ad incidere un album solo nel 2010 con Sex With An X, ben 21 anni dopo Dum-Dum. Il disco è ben accolto da critica e pubblico, trovando di nuovo il loro posto nell’indie-rock britannico grazie a pezzi riusciti come la “The Devil’s Inside Me” inserita nel podcast. Dopo un altro album quattro anni più tardi però, è calato di nuovo il buio sul nome The Vaselines.
Fa un po’ ridere pensare che gli Only Ones sono riusciti ad ottenere un clamoroso successo solo nel 2006 quando la loro canzone più famosa, “Another Girl, Another Planet” è stata utilizzata per una campagna pubblicitaria della Vodafone. In realtà, il successo “postumo” è stato così forte da convincere Peter Perrett (che aveva formato la band a Londra nell’agosto del 1976) a riunire il suo vecchio gruppo, sciolto ufficialmente nel 1982) per un tour britannico di grande successo. Il songwriting di Perrett è sempre stato notevole, ma allo stesso tempo l’artista non ha mai avuto una vita semplice e lineare, segnata da una serie di vicissitudini personali, tra cui dipendenze, difficoltà familiari e un lungo periodo di assenza dalle scene.
La sua personale rinascita, iniziata nel 2017 con il suo primo album solista How The West Was Won e confermata due anni più tardi con Humanworld, si sublima in questo 2024 con il nuovo The Cleansing, una purificazione di nome e di fatto che ci consegna il settantaduenne londinese in una nuova e splendida forma. La carica e la spavalderia di chi è riuscito a fuggire dai tentacoli della dipendenza, anche dopo aver scoperto quasi casualmente di avere una grave osteoporosi, il tutto abbinato alla sua capacità consueta di scrivere testi mai banali e di grandi canzoni come la “Disinfectant” inserita in scaletta. Non ho dubbi sul fatto che The Cleansing apparirà in molte classifiche di fine anno.
Uno dei gruppi più interessanti degli ultimi anni e uno dei dischi che mi ha più entusiasmato di quelli usciti lo scorso anno. Un nome altisonante, una orchestra onnipotente il cui nome è un omaggio alle tante big band africane che usavano e usano questa definizione come un biglietto da visita. Il nome Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp è un modo per segnalarsi come gruppo freak e dadaista, un nome e un progetto su larga scala voluto dal contrabbassista Vincent Bertholet che crea il collettivo a Ginevra nel 2006. La prima idea è quella di metter su un gruppo rock che usi la marimba e che possa esibirsi in maniera sotterranea lungo tutto il continente europeo. Musicisti che hanno il post punk come semplice base di partenza ma sono totalmente aperti ad una sperimentazione musicale che avvicina dub, punk, jazz d’avanguardia e rock in uno scambio aperto di suoni, di luoghi e di pubblico.
Artigiani e irregolari, con una fortissima spinta propulsiva musicale e sociale, il gruppo ha diffuso il proprio verbo aprendosi a mille interferenze, combinazioni e colori e suscitando l’interesse di John Parish che nel 2014 si è seduto dietro al mixer per produrre Rotorotor, il loro terzo album. Nonostante sia appena uscito il loro nuovo album intitolato Ventre Unique, il fatto che non mi abbia colpito come il precedente We’re OK. But We’re Lost Anyway, dove afrobeat, folk, punk, jazz, Stereolab, kraut e vocazione spirituale si erano uniti in un flusso festoso teso ad esaltare la collettività e l’imprevedibilità, mi han portato (da perfetto bastian contrario) a virare su Sauvage Formes, il quarto album, prodotto ancora da Parish, più istintivo e meno “leccato” del nuovo lavoro, da cui per il podcast ho voluto inserire la splendida iniziale “Blow”.
Quasi a fine anno ecco uscire un album che probabilmente entrerà di diritto nella classifica dei miei preferiti del 2024. Strano pensare a questo disco come ad una sorta di esordio solista di un’artista che è sulla breccia dell’onda da tantissimi anni. Ma c’è un fondo di verità, visto che Kim Deal aveva autoprodotto una serie di vinili in 5 parti e 10 canzoni da 7” nel 2013. Parte fondamentale di una band importantissima come i Pixies, fondatrice di un altro gruppo che ha avuto una certa valenza nella storia del rock alternativo quali le Breeders, a 63 anni la Deal ha trovato il modo di pubblicare finalmente Nobody Loves You More, frutto di un lavoro certosino durato anni.
la capacità di scrittura di un’artista che ha scritto inni come “Gigantic” non può essere messa in discussione, e il suo talento viene fuori sia nelle tracce scritte proprio nel 2011 e pubblicate nel 2013, sia in quelle più recenti, con la finale “A Good Time Pushed” registrata dal compianto Steve Albini che ne ha sempre apprezzato la capacità di scrittura. La “Nobody Loves You More” che da il titolo all’album incanta con il suo splendido arrangiamento di fiati ed archi. Tanti gli ospiti ad accompagnarla, dalla sorella Kelley e altri ex Breeders come Mando Lopez, Jim Macpherson e Britt Walford (Slint), a Raymond McGinley dei Teenage Fanclub. Il risultato è un “esordio” tanto inaspettato quanto affascinante ed incantevole.
Laura Nigro, più conosciuta come Laura Nyro, è stata una compositrice e pianista tanto brava quanto schiva e sfortunata, Sangue russo e italiano mischiato nelle vene, un padre trombettista e arrangiatore di piano, una madre appassionata di opera lirica, la Nyro ha imparato nelle strade del Bronx i ritmi del jazz, del rhythm’n’blues e della musica Motown, rielaborandoli in un personalissimo codice poetico. Ha preferito rimanere sempre lontana dai riflettori e dal successo, rifiutando molte interviste ed aborrendo le ingerenze delle etichette discografiche. Tuttavia le sue canzoni hanno fatto le fortune di altri artisti ed hanno influenzato, più o meno consapevolmente, generazioni di cantautrici americane e non (Joni Mitchell, Suzanne Vega, Rickie Lee Jones, Fiona Apple).
Straordinaria e originalissima compositrice, non è mai stata come interprete al top delle charts ma ha fatto la fortuna di molti altri grandi artisti con le sue canzoni: Blood Sweat and Tears con “When I Die”, The Fifth Dimension con “Wedding Bell Blues”, “Stoned Soul Picnic” e “Sweet Blindness”, Barbra Streisand con “Stoney End”. Solo dopo la morte, avvenuta l’8 aprile 1997 per un cancro all’utero (lo stesso triste destino che era toccato alla madre), ha ottenuto i riconoscimenti che le spettavano. Nel 2012 è stata finalmente introdotta nella Rock’n’Roll Hall of Fame. Eli And The 13th Confession esce nel 1968 e mostra a tutti il talento della compositrice newyorchese. “Stoned Soul Picnic” è uno dei vertici del disco, un brano trascinante che mostra tutte le sfaccettature di un’artista enorme e incompresa.
Richard Dawson è un artista che appartiene ad una categoria molto particolare e quasi in via di estinzione, quella dei songwriters un po’ stralunati, poco convenzionali. Basti pensare ad un Richard Youngs, o ad un Kevin Coyne, senza voler scomodare l’enorme talento di Kevin Ayers (Dawson potrebbe montarsi la testa), tanto per farvi capire come poter inquadrare un personaggio come il chitarrista di stanza a Newcastle Upon Tyne. A tre anni di distanza dal suo ultimo album in studio, Richard Dawson pubblicherà il 14 febbraio 2025 il suo nuovo End Of The Middle. Sebbene il songwriter non sia nuovo a grandi idee musicali, sia che apra il suo album del 2022 The Ruby Cord con un brano di 41 minuti, sia che scriva canzoni epiche in collaborazione con il gruppo rock sperimentale finlandese Circle.
In questo nuovo album Dawson cerca di ridimensionare tutto alla pura essenza, componendo una raccolta di canzoni che ricordano il fortunato Peasant. Il primo singolo, “Polytunnel”, ritrae un giardiniere impegnato nella nobile, tranquillizzante e misteriosa attività di coltivare ortaggi mentre affronta la propria malattia. Nonostante il suo suono folk-pop leggero, quasi spensierato, il brano sembra nascondere un’oscurità più profonda. “Credo di sapere cosa succede nella canzone, ma spero che sia diverso per ogni persona che ascolta”, ha detto Dawson. “Mi piace che il verso ‘Out the gate and down the lane’ (Fuori dal cancello e giù per il vicolo) – potrebbe significare andare giù per il campo, o potrebbe significare andare da qualche altra parte. Tunnel è ovviamente una parola molto carica. È possibile che si verifichino molti drammi al di fuori delle righe della canzone … Oppure no. Potrebbe essere solo una canzone su un terreno”.
Chiudiamo il podcast proprio con un altro di quella stirpe, ormai quasi estinta, di cantautori non allineati. Un personaggio fuori dal tempo Roy Harper, riscoperto 10 anni fa da Jonathan Wilson, che ha voluto produrre il suo ritorno sulle scene intitolato Man & Myth, in bilico tra malinconia e rassegnazione, tra il folk degli esordi ed un suono più robusto. Sarcastico ed eccentrico songwriter dall’animo folk, inizia ad incidere nella seconda metà degli anni ’60 trovando le giuste coordinate nel 1971 con il suo quinto album in studio intitolato Stormcock, in cui insieme ad una sezione di archi dipinge in quattro lunghe composizioni tutta la sua arte.
Il titolo è il vecchio nome inglese della tordela. Il maschio di questa specie canta le sue melodie da un albero, un tetto o altri luoghi elevati, spesso durante le giornate di cattivo tempo o durante la notte; forse la metafora perfetta per descrivere Harper stesso. Il brano che chiude il podcast, “Hors d’Oeuvres”, era ispirato al destino di Caryl Chessman, che trascorse quasi 12 anni nel braccio della morte prima di essere giustiziato nel maggio 1960. Dopo una malattia, Harper era tornato dopo qualche anno strizzando l’occhio al progressive e all’hard rock, faticando però a trovare la strada maestra di nuovo. Più avanti la strada procederà a singhiozzo, nonostante l’amicizia con molti artisti storici ed un album in collaborazione con Jimmy Page che non ottiene il successo sperato.
Un grazie speciale va, come sempre, a Franz Andreani per la sua passione, la gestione di questa banda di pazzi e per la splendida riorganizzazione del sito già attiva da qualche anno. A cambiare non è stata solo la versione grafica del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Sulla nostra pagina Facebook troverete quotidianamente ogni upload del sito e, ormai da tempo, è attivo anche lo splendido canale YouTube della Radio, una nuova formula senza interruzioni ne spot per ascoltare la vostra-nostra musica preferita. Iscrivetevi numerosi, vi aspettiamo!
Ci risentiamo tra due settimane quando parleremo di due meraviglie dell’indie rock psichedelico come Built To Spill e Arbouretum, incontreremo l’eclettismo sonoro dei The God In Hackney, e ascolteremo le storie di un’umanità sempre in bilico dei The Delines. Il nuovo The Cure mi ha colpito così tanto che ho voluto tornare indietro al 1980, mentre è sempre piacevole riascoltare la sinergia scandinava di Bol & Snah e gli strumenti autocostruiti di Buke And Gase. Ascolteremo anche il nuovo splendido Mount Kimbie, la bravura incredibile dei The Books nell’assemblaggio sonoro e il pop sghembo dei Dirty Projectors prima di riascoltare il meraviglioso folk blues di Terry Callier e tornare indietro agli anni ’60 con The Zombies. Il finale è appannaggio di un grande musicista italiano come Vittorio Nistri: prima con il suo progetto Deadburger Factory, poi con un nuovissimo album che naviga meravigliosamente in paesaggi sonori tra sperimentazione e avanguardia insieme a Filippo Panichi.
Il tutto sarà, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Per suggerimenti e proposte, scrivetemi senza problemi all’indirizzo e-mail stefano@stefanosantoni14.it.
Potete ascoltare o scaricare il podcast anche dal sito di Radio Rock The Original cliccando sulla barra qui sotto.
Buon Ascolto
TRACKLIST
01. THE GOD MACHINE: The Blind Man da ‘Scenes From The Second Storey’ (1993 – Fiction Records)
02. THE FLAMING LIPS: Thanks To You da ‘Oh My Gawd!!!…The Flaming Lips’ (1987 – Restless Records)
03. FELL RUNNER: Better Isn’t Always Better da ‘Fell Runner’ (2015 – Orenda Records)
04. THE FALL: New Face In Hell da ‘Grotesque (After The Gramme)’ (1980 – Rough Trade)
05. THE TEARDROP EXPLODES: When I Dream da ‘Kilimanjaro’ (1980 – Mercury)
06. THE SKULL DEFEKTS: Pattern Of Thoughts da ‘Dances In Dreams Of The Known Unknown’ (2014 – Thrill Jockey)
07. GIANT SAND: No Reply da ‘Chore Of Enchantment’ (2000 – Loose)
08. THE VASELINES: The Devil’s Inside Me da ‘Sex With An X’ (2010 – Sub Pop)
09. PETER PERRETT: Disinfectant da ‘The Cleansing’ (2024 – Domino)
10. ORCHESTRE TOUT PUISSANT MARCEL DUCHAMP: Blow da ‘Sauvage Formes’ (2018 – Les Disques Bongo Joe)
11. KIM DEAL: Nobody Loves You More da ‘Nobody Loves You More’ (2024 – 4AD)
12. LAURA NYRO: Stoned Soul Picnic da ‘Eli And The Thirteenth Confession’ (1968 – Columbia)
13. RICHARD DAWSON: Polytunnel da ‘End Of The Middle’ (2025 – Weird World)
14. ROY HARPER: Hors D’Oeuvres da ‘Stormcock’ (1971 – Harvest)
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— SoundsAndGrooves (@SoundsGrooves) December 11, 2024